Se stai cercando una storia dolce e innocente, chiudi questo libro.
Qui il desiderio brucia, l'oscurità seduce e l'amore ferisce tanto quanto affascina.
Dark Romance , +18.
A chi danza sull'orlo dell'abisso, a chi ama le ombre più di quanto ami la luce. Questa è per coloro che si perdono, non per essere salvati, ma perché alcune fiamme sono troppo belle per non bruciare.
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Emily
Le lettere non avrebbero mai dovuto significare niente.
Era solo un progetto, un compito per il mio saggio di ammissione.
Scrivere a un prigioniero, analizzare le sue risposte, capire cosa si nasconde nella mente di qualcuno che ha distrutto una vita — o, nel caso di Hunter Cross, più di una.
Non c'era niente di personale, solo psicologia applicata.
Fredda, logica, razionale.
Eppure, con ogni lettera, qualcosa cambiava.
Ogni parola che scriveva si insinuava sotto la mia pelle, scavava nelle mie insicurezze, nei miei desideri segreti.
Non era solo un uomo dietro le sbarre: era intelligente, tormentato, e così profondamente umano da farmi dimenticare chi fosse davvero.
Le sue lettere erano incendiarie.
Ogni frase, ogni pensiero che condivideva, accendeva qualcosa dentro di me.
Un senso di comprensione, una connessione che non avrei mai trovato con qualcuno della mia età, che vive la mia stessa vita protetta.
Ma c'era un confine che non avrei dovuto superare.
Quando ho scoperto la verità — cosa ha fatto, chi ha ucciso — qualcosa dentro di me si è spezzato.
Era come se tutte le sue parole, che fino a quel momento avevo custodito come piccoli frammenti di luce nel buio, si fossero trasformate in spine pronte a ferirmi.
Non riuscivo più a leggere le sue lettere senza sentire il peso di quelle vite che aveva distrutto.
Ho cercato di razionalizzare, di dirlo a me stessa: Non è colpa tua, Emily. Non sei tu ad aver scelto di scrivere a un mostro.
Ma non serviva.
Ogni frase che mi tornava in mente aveva una doppia faccia: la dolcezza e il veleno, la vulnerabilità e l'orrore.
Così ho smesso.
Ho smesso di leggere, di rispondere, di lasciarlo entrare nei miei pensieri.
L'ho lasciato senza una parola, come se potessi cancellarlo dalla mia vita con la stessa facilità con cui avevo iniziato a scrivergli.
Come se fosse una parentesi chiusa, un capitolo finito.
Ero convinta che bastasse.
Convinta che il tempo avrebbe fatto il resto, che la distanza tra me e quelle lettere avrebbe riportato la mia vita alla normalità.
Ho chiuso tutto in una scatola, nascosta sotto il letto, troppo vigliacca persino per buttarla via.
Ma qualcosa dentro di me sapeva che non era davvero finita.
Ogni notte, quando spegnevo la luce, il suo nome rimbombava nella mia mente come un eco lontano.
Hunter.
Non riuscivo a fermarlo.
Non era solo la colpa, o la rabbia per essermi lasciata coinvolgere; era il vuoto che aveva lasciato, la sensazione che nessun altro al mondo mi avrebbe capita come lui.
E poi, il telegiornale.
Lo schermo tremolante davanti ai miei occhi, il volto di quello che doveva essere Hunter incorniciato da quelle parole gelide: evasione dal penitenziario di massima sicurezza.
Il conduttore parlava, ma io non ascoltavo.
Potevo solo fissare quell'immagine: i suoi occhi, penetranti anche attraverso una fotografia, come se mi stessero guardando direttamente, oltre lo schermo, oltre la stanza.
Avevo sempre pensato che quelle sbarre fossero la nostra distanza di sicurezza, la mia protezione.
Ma ora, non c'era più niente tra noi.
Lui era libero.
Libero, e nel profondo sapevo che non era una fuga qualunque.
Hunter era evaso per colpa mia.
E il pensiero che avrebbe attraversato l'inferno per trovarmi mi faceva tremare... di paura, sì.
Ma c'era anche qualcos'altro, qualcosa di più oscuro.
Un brivido che odiavo sentire, che non volevo confessare neanche a me stessa.