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36. Mia dolce Rosalynn - Isabel-

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Terminammo di parlare, rubandoci occhiate furtive. Il tempo trascorso insieme mi aveva rasserenata. Giungemmo davanti a casa mia. Nel vederla provai repulsione. Le luci erano ancora accese e dietro alle finestre scorsi l'ombra di mia zia. Presi un respiro profondo, ma ero ancora molto agitata.

«Sei pronta?» Daniel mi invitò a scendere. Con un mezzo sorriso negai con il capo. Lui sorrise con me.

«Ti starò vicino se mi permetterai di farlo» mi porse la mano, attendendo la mia. Senza riflettere, presa da un turbine d'emozioni, gliela strinsi. Il suo torpore distese i miei nervi.

Scendemmo dall'auto, Daniel sollevò di peso la mia bici dal portabagagli e tirò fuori la valigia. Mi aiutò a trasportare il tutto fino alla soglia di casa e, dopo aver suonato il campanello, attendemmo che lei aprisse. Non ci volle molto prima che mia zia si precipitasse alla porta. I suoi occhi castani erano ancora arrossati. Un luccichio rivelava quanto fosse sollevata di vedermi sana, ma ben presto la sua autorità prese il sopravvento, cancellando ogni tipo di emozione. Fissò me e Daniel con disappunto. Sapevo che le stavo dando la conferma di quello che aveva dedotto.

«Finalmente. Sei tornata. Mi hai fatto prendere un colpo. Adesso entra» parlò a raffica per poi terminare atona. Mi rivolse un'occhiataccia che riservò anche a Daniel. Inquadrò lui, l'auto e le mie cose. Nonostante mi avesse riportata da lei, c'era anche la beffa di esser giudicato male. Prima che lei potesse dire qualcosa, Daniel ci tenne a rassicurarla.

«L'ho trovata per strada e mi sembrava doveroso riportarla da lei, signora Wilson. Isabel non era in grado di guidare il suo mezzo» spiegò, in maniera molto formale indicando la sua auto. Lei non gli diede corda. Si guardò attorno per vedere se qualcuno ci stesse ascoltando, come se fossimo dei ladri.

«Va bene, Daniel. Ti ringrazio per quello che hai fatto, ma ti pregherei una cortesia. Voglio che tu la onorassi d'ora in poi» fece una pausa pesante per gravare la situazione. Io intuii cosa avesse da dire, mentre Daniel assunse un’espressione disorientata.

Zia Daisy concluse, cinica «Vorrei che non frequentassi più Isabel.»

Le mie paure vennero a galla. Appena zia finì di imporre la nostra condanna lo guardai. Lui lo fece a sua volta ed entrambi diventammo pallidi. Il mio cuore batteva veloce. Amavo zia, ma amavo anche Daniel. Avevo la necessità di stare con lui, di parlarci, di sentirmi dire le sue innumerevoli teorie, di assorbire le sue frasi filosofiche e combattere la sua cocciutaggine a suon di scherni e risate. Mi serviva lui.

D'istinto mi avvicinai al suo braccio e strinsi il tessuto della sua camicia. Daniel, ancora sconcertato, tirò un lembo di stoffa del mio vestito. Stordito dalla richiesta, rispose a zia Daisy.

«Le assicuro, signora Wilson, che non ho fatto nulla a Isabel e mai mi permetterei di fare qualcosa contro la sua volontà per metterla in cattiva luce.»

«Isabel sa entrarci senza problemi in cattiva luce, è questo il punto. Ha bisogno di disintossicarsi dai suoi demoni. E poi avrai di certo i tuoi impegni famigliari.»

Chiamare demoni le mie idee lo trovai di cattivo gusto. Assunsi un'aria di disappunto, ma non potei ribattere. Intanto Daniel, non avendo voce in capitolo, serrò la mascella. Era visibilmente contrariato.

«Signora Wilson, la prego, mi creda. Non può chiederm...» Daniel stava ancora parlando, quando zia lo congedò freddamente.

«Buonanotte, Daniel. Fa’ un buon rientro.»

Daniel, a quell’esito, annuì e fu costretto a obbedire. Zia si voltò con uno scatto, dandoci le spalle e rientrando in casa. Appena fummo da soli i nostri sguardi si cercarono disperati, come se avessero la necessità di consolarsi. Gli occhi di Daniel si ingrandirono, spaventati. Senza attendere un solo secondo, mi prese la mano e intrecciò le sue dita alle mie. Le strinse forti, imprimendole sulla mia pelle.

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