«E poi ti vedo da lontano che stai sorridendo, e all'improvviso penso che sta vita forse ce l'ha un senso.»
«Come quando da lontano ti guardo in silenzio. Senza dire nulla. Ti guardo e ciò che sento è solo il battito del mio cuore che accellera. Ti guardo mentre parli, ridi, scherzi, mentre tu fai ciò che definiresti "nulla" e io definirei "tutto". Guardo il modo in cui ti si illuminano gli occhi quando scoppi a ridere, occhi che esprimono così tanto, occhi che hanno incrociato rare volte i miei, rare ma comunque indimenticabili.
Ti guardo mentre gesticoli parlando, mentre lotti per esprimere ciò che pensi, come quelle poche volte in cui alzi la voce, quella voce calda, dolce, che amo, come tutto il resto.
Ti guardo perché altro non posso fare, poiché il mio è un amore così, può solo ammirare da lontano ciò che sei. Ciò che mi ha fatto tanto innamorare. Ciò che proprio non riesco a lasciar andare.
Ti guardo e nel frattempo ti dedico tutte le parole che vorrei, ma non posso dirti. Ce ne sarebbero così tante, infinite.
Ti guardo e spero che un giorno sarai mia, che un giorno sarò lì accanto a te, a farti sorridere, perché se sorridi tu sorrido anche io. Spero di poter baciare quelle labbra, e spero di poter perdermi nei tuoi occhi, e sognare.
Ti guardo e semplicemente, mi innamoro di più, ogni volta.»
Lei, Violet Blake.
Lui, Michael Clifford.
[DAL CAPITOLO 49]
"Ascolta." dice, la voce ferma. "Io ti amo. Tu mi ami?". Annuisco. "Sì, ma...". Lui mi interrompe posandomi l'indice sulle labbra. "Niente ma. L'unica cosa che conta è se ci amiamo. Ci amiamo? Sì. Bene." Sembra vedere in me confusione e, non soddisfatto, si mette dritto e con un gesto teatrale indica la stanza. "Insomma, guardaci. Siamo qui, a casa tua, alle due di notte a parlare e a chiederci se la cosa più importante è stare insieme oppure no. Non ti sembra ridicolo? Chissenefrega se non siamo pronti, se siamo due sbagli assoluti, se quando ci muoviamo sappiamo solo provocare dolore e disastri! Noi ci amiamo, Aria. È questo che conta."