抖阴社区

14 - Fame.

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Giro gli spaghetti nell'acqua bollente e comincio a preparare il condimento.
Io e Gió, dopo mille risate, abbiamo trascinato Vince in sala ancora avvolto nel materassino. Non si è mosso di un millimetro. Continua a russare beato, ignaro del casino attorno.
A breve, volente o nolente, dovrò svegliarlo.
Sento dei passi sulle scale.
Poi la voce, profonda, impastata di sarcasmo.
«Ma tu guarda che bel profumino...»
Riconosco subito Duke, ma non mi volto.
Resto concentrata sui fornelli, impassibile.
«Per quanto tempo pensavi di tenere nascoste queste doti culinarie?» aggiunge, con quella sua solita ironia pungente.
«Potrei farti morire di fame,» ribatto.
Sento il suo corpo avvicinarsi.
È una presenza fisica, invadente, quasi ingombrante.
Lui sa di esserlo. E, peggio, si diverte a esserlo.
«Ti sei dimenticata di dire, ai tuoi amichetti surfisti, che sei fuori mercato?»
Alzo gli occhi.
È lì, appoggiato allo stipite con le braccia conserte.
Ha i capelli ancora spettinati e il petto nudo, coperto solo da un paio di pantaloni di cotone a vita bassa.
Una visione a metà tra la dannazione e un desiderio troppo grande per non far male.
«Due neuroni in quattro, e ne usavano tre per guardarti il culo. L'altro lo tenevano in riserva per capire se respiravi.» prosegue con un mezzo sorriso bastardo.
«Magari mi stavano semplicemente facendo i complimenti,» rispondo.
Continuo a girare la pasta come se niente fosse.
«Certo. Gentili. Come uno sciame di vespe ubriache davanti a un fiore.»
Si sposta dal muro.
«E poi... quel costume. Lo hai scelto per sopravvivere a una nuotata o per farmi esplodere il cervello?»
«Vendetta.»
«Per cosa?»
«Per avermi chiusa a chiave come una prigioniera, magari?»
È dietro di me, ora.
Lo sento senza vederlo.
Il calore del suo corpo. Il respiro che sfiora la mia nuca.
«Tesoro... se davvero ti avessi rinchiusa, adesso non saresti in piedi a cucinare.»
La voce è cambiata.
Bassa. Ruvida. Scura.
Un sussurro che promette cose che non si dicono.
La mia pelle si accende ovunque non la tocca.
«Che..parole profonde» replico, innocente.
Lui mi squadra dall'alto in basso.
Si ferma sul mio seno.
Poi sul punto vita.
Poi ancora più in basso.
I suoi occhi si stringono.
«Quel costume è illegale in dieci stati. E dovrebbe esserlo anche in questa casa.»
«Oh, questo?» mi passo una mano sul fianco, con finta innocenza.
«Beh, ho un seno abbondante. Non potevo certo scegliere un modello monacale.»
Lui mi guarda. Gli occhi gli brillano, scuri, affamati.
La bocca si muove appena.
«Abbastanza abbondante da far venire l'erezione pure a un santo.
O da farmi venir voglia di spingerti contro il frigo, strapparti quel costume di dosso e seppellirci la faccia finché non ti sento venire tremando sulle mie labbra.
E fidati, non respirerei finché non ti svuoti tutta addosso.»
Mi manca un battito.
Non riesco a guardarlo.
«Mamma mia,» mormoro, cercando disperatamente un appiglio tra le sinapsi in fiamme. «Hai... sempre questa delicatezza con le donne? O è solo con me che tiri fuori il vocabolario da porno d'autore?»
Lui ride piano, profondo. Un suono che mi scivola giù per la colonna vertebrale.
Si avvicina ancora di un passo.
«Solo con te. Le altre non valgono nemmeno la fatica di pensare sporco.»
Sussurra, e il modo in cui lo dice mi toglie l'aria.
Talmente tanto che verso troppo olio in padella.
Un fiume. Un lago. Una catastrofe.
«Cazzo...» mormoro. «Troppo olio.»
«Ed è un problema?»
«Sì! Ci voleva giusto un goccio. Non lo sai?»
«L'olio in cucina lo uso poco.»
Si lecca le labbra. Mi guarda.
«Preferisco... altri usi dell'olio.»
Lo fisso.
Cerco di tenere la voce ferma, ma mi tradisce.
«In... che senso altri usi?»
Lui mi prende il mento tra le dita, il pollice sfiora la mia bocca.
«Quelli dove l'insalata non c'entra... ma le dita, la pelle, e certe posizioni, sì.»
Il calore mi esplode in faccia.
Sento le guance andare a fuoco.
«Duke!»
«Che c'è, leoncina? Mi hai fatto una domanda.»
«Io—non intendevo—»
«No?»
Sorride, baciandomi appena sotto l'orecchio.
«Allora aspetta. La prossima volta cuciniamo nudi. E ti faccio vedere tutti i miei... condimenti preferiti.»
E io lì.
Rossa come un pomodoro.
Fusa come il burro.
A maledire ogni singola bottiglia d'olio su questa fottuta terra.
«Assaggia,» gli dico, cercando di restare lucida, porgendogli uno spaghetto con le dita.
Lui non prende la pasta.
Prende la mia mano.
Se la porta alle labbra.
E succhia via lo spaghetto lentamente, tenendomi lo sguardo addosso.
«Cotta al punto giusto,» mormora, la voce calda.
Poi la sua bocca scivola sulle nocche, risale piano lungo il polso.
Le dita sfiorano il nodo del costume dietro la mia schiena.
«Duke...»
«Dimmi di no adesso.»
Il nodo cede appena.
Io chiudo gli occhi.
Il respiro spezzato.
Non so più se sto per baciarlo o per colpirlo con il mestolo.
Poi —
SBAM.
Un rumore fuori dalla cucina.
Una bottiglia che cade.
Un intermezzo. Un salvataggio. Una condanna.
Mi scosto.
Lui si passa una mano tra i capelli.
«Dove eravamo rimasti?»
«Ai mille usi dell'olio,» replico, cercando di non tremare.
Duke si avvicina ancora. Stavolta al mio orecchio. La sua voce si abbassa, tagliente e seducente come una lama calda.
«Ah, giusto...»
Sfiora il lobo con le labbra.
«Quello che scivola tra le cosce. Che ti fa brillare la pelle. Che gronda lento dalle dita mentre non riesci nemmeno a decidere se gemere o pregare.»
Pausa.
Mi guarda.
Occhi accesi. Lenti. Famelici.
«Quello che trasforma una cucina in un confessionale... e il peccato in una ricetta da rifare ogni fottuta notte.»
Sto per ribattere quando —
un tonfo sordo scuote tutta la casa.
Seguito da un mugolio strozzato.
Ci giriamo di scatto.
Vince è mezzo riverso sul pavimento della sala, avvolto ancora nel materassino da mare come una mummia sgangherata.
Si dimena goffamente come una tartaruga rovesciata.
«Sono intrappolato nella macchina del tempo!» gracchia, completamente spaesato.
«Giorgia! Aiutami! Devo tornare nel... nel passato! Devo impedire la nascita della tequila!»
Io e Duke restiamo immobili per un secondo.
Poi ci guardiamo.
La tensione sessuale evapora come nebbia al sole.
Scoppio a ridere talmente forte da dovermi appoggiare al lavandino.
Duke scuote la testa, un ghigno sulle labbra.
Intanto Vince riesce a rimettersi in piedi, barcollando come un naufrago, con un occhio mezzo chiuso e i capelli tutti sparati.
«Dov'è il cavallo?! Mi serve un cavallo per viaggiare nel tempo!» farfuglia serio, guardandosi intorno come se davvero si aspettasse di trovare un destriero nella nostra casa.
Gió arriva trafelata, si ferma sulla soglia, e appena lo vede scoppiamo tutte e due in un'altra ondata di risate.
«Prometti che registrerai tutto, ti prego,» riesco a dire tra le lacrime, stringendomi il fianco dal ridere.
Duke sospira.
Si appoggia al muro, osservando l'amico mentre si aggira senza meta con il materassino ancora appeso alla schiena come una cappa da supereroe ubriaco.
«Spaghetti alla tequila per tutti, allora?» commenta lui, sarcastico.
«No. Si chiama carbonara.»
E rido ancora più forte.

Vince riesce finalmente a trascinarsi fino al tavolo, ancora mezzo avvolto nel materassino.
Si lascia cadere su una sedia con un gemito disperato, la testa ciondolante.
Duke mi aiuta a servire gli spaghetti e cerco di non scoppiare a ridere ogni volta che guardo Vince.
Si siede di fronte a lui, appoggiando i gomiti sul tavolo, con quell'aria da bastardo divertito che ormai conosco troppo bene.
«Allora, Professor Doc Brown,» fa Duke, inclinando la testa con finta serietà. «Sei riuscito a salvare il continuum spazio-temporale... o ti sei solo scolato tre litri di tequila?»
Vince lo fissa, confuso, sbattendo le palpebre.
«Tequila... brutto... futuro...» balbetta, puntandogli un dito contro come fosse l'accusato principale.
Duke gli sorride beffardo.
«Tranquillo, campione. Al massimo hai salvato il futuro... dei baristi.»
Io soffoco una risata.
Vince scuote la testa, sconsolato.
«Non capite... il destino del mondo... era nelle mie mani...»
Si sporge in avanti e, con uno scatto goffissimo, cade con la faccia direttamente nel piatto di spaghetti.
SPLAT.
La forchetta gli rimane appiccicata alla guancia.
Duke si appoggia allo schienale della sedia, osservandolo senza pietà.
«Guardatelo,» commenta, rivolto a me e Gió. «Un vero eroe moderno. Peccato che il suo superpotere sia 'comatoso a comando'.»
Vince solleva la testa, con uno spaghetto che gli pende da un sopracciglio come un'antenna.
«Sei bellissimo, Vince,» aggiunge Duke, alzando il bicchiere in un brindisi sarcastico. «Non cambiare mai.»
E la porta si apre nuovamente con un tonfo improvviso.
«Eccomi, fanciulle e degenerati!» urla Robert.
«Ci mancavi solo tu,» commenta Duke, senza scomporsi, mentre Vince cerca di staccarsi uno spaghetto dal sopracciglio con movimenti scoordinati.
Robert si avvicina annusando l'aria.
«Profumo di cibo... e di sconfitta,» dice, lanciando uno sguardo a Vince.
Poi si avvicina a me e annusa platealmente sopra la pentola.
«Ehi, Giulia... che hai cucinato?» mi fa l'occhiolino. «Sposerò il tuo talento culinario, non preoccuparti.»
«Si chiama carbonara. E se riesci a battere Duke in una gara di decenza, forse ci penso,» ribatto mentre sistemo i piatti.
«Allora è già persa,» interviene Gió, ridacchiando.
Robert si siede e si serve senza alcuna vergogna.
Poi guarda Vince, ancora disfatto sul tavolo.
«Vedo che qualcuno ha scoperto i piaceri proibiti della tequila... e del materassino.»
Vince mugola qualcosa di incomprensibile.
Duke lo osserva un attimo, poi affonda il coltello.
«Tranquillo, Robert. È la sua strategia di rimorchio: farsi passare per un naufrago disperato. Con un po' di fortuna, qualche anima pia gli farà la respirazione bocca a bocca.»
Robert e Giorgia scoppiano a ridere, mentre io quasi rovescio il mestolo per quanto sto ridendo.
«Peccato che con quella faccia piena di spaghetti rischi più una denuncia che un bacio,» rincara Robert, scuotendo il bicchiere come se fosse una maracas.
Vince finalmente riesce a sollevare la testa, con la dignità a brandelli.
«Vi odio tutti...» borbotta.
Duke gli dà una pacca sulla spalla — forte.
«Forza, naufrago. Mangia. Forse ti torna un neurone funzionante.»
«Cherbonera?» ripete Robert rivolgendosi a me, provando a scandire bene le sillabe.
«Ci sei quasi. Carbonara. Guanciale, uova e pecorino.»
Vince arrotola una porzione abbondante di spaghetti sul cucchiaio, ancora in stato confusionale, e si rivolge a me.
«Fantastica. Ecco perché tuo fratello ha quel nome esotico...»
«Nome esotico?» sbatto le palpebre.
«Beh, sì, Salvatore. Quando William me lo ha presentato, me lo sono dovuto far ripetere tre volte. Siete Italiani, in poche parole.»
«Di origini,» preciso. «Mia madre è nata in Italia, in Sicilia, e aveva pochi mesi quando i miei nonni l'hanno portata a New York. A casa mia si cucina solo italiano, e con il tempo ho imparato anch'io.»
«Direi che si vede. E si sente.»
Robert continua a divorare la carbonara come se non mangiasse da anni, mentre Vince sembra finalmente tornare a un livello minimo di decenza umana.
«Quindi... Salvatore...» ripete Robert, ancora rimuginando. «Nome da boss di mafia.»
«Stai attento,» gli dico, stringendo gli occhi in finta minaccia. «Siamo gente permalosa.»
Gió si appoggia al tavolo con il gomito, lanciandomi un sorriso complice.
«Questo spiega perché tiri fuori minacce anche mentre cucini.»
Duke incrocia le braccia dietro la testa, e squadra i due amici con aria di superiorità.
«Guarda che spettacolo...» esclama a voce alta. «Uno,» indica Vince, «che sembra una mozzarella andata a male,» Vince solleva il dito medio con fierezza, «e l'altro,» ora tocca a Robert, «che ieri sera voleva scrivere sonetti alla prima biondina disponibile.»
Robert si mette una mano sul petto, scandalizzato.
«Era poesia ispirata, arte pura!»
«Più che altro tequila pura,» ribatte Duke. «La prossima volta, prova a rimorchiare senza sembrare un turista inglese ubriaco a Ibiza.»
Gió scoppia a ridere, e io porto una mano alla bocca per non sputare il boccone.
Robert, imperterrito, affonda di nuovo la forchetta nel piatto.
«Gelosi del mio fascino naturale,» sentenzia, con aria da latin lover da discount. «Comunque... missione riuscita, chef Giulia,» esclama mentre si riempie il piatto una seconda volta. «Anche se il tuo pubblico oggi è... diciamo, etilicamente compromesso.»
«Eppure,» ribatte Duke, «sembra ancora più intelligente del solito.»

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