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La paura è più forte del desi...

By ___Selene_

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Gli anni del liceo sono come montagne russe. Ora inizia il quarto, ma c'è qualcosa o qualcuno che torna dal... More

Prologo + dedica
Qualcosa sta (ri)fiorendo
Pranzo e ricordi
Luce nella stanza
La settimana degli affetti
Sotto la superficie
La sposa Normanna
Grazie, per avermele fatte incontrare
Sei tutto per me
Tutto è possibile
La professoressa di filosofia e storia
Volere è potere
Sai, ho incontrato una persona
Credo nel destino?
Dalla notte più buia a un'alba nuova
Rose
Una cena di ricordi e conferme
Piante che cambiano la mente
Eager
Il tuo sorriso
Grazie al cielo e tanto altro
Il canto di Calliope
Dualismo interiore
Aletheia e amare
Sorriso soddisfatto
Se vuoi fare qualcosa, fallo
Uno di quelli che ti fanno sciogliere
Fammi entrare un po' più dentro di te
Passione
- il divenire del voler bene -
Follemente innamorata
Quel cielo intero e la mia legge
Va bene così
Un confine sciolto al sole

Certezza, salvezza e promessa

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By ___Selene_


⚠️linguaggio volgare⚠️

Selene Noir

13 Novembre

«Ma vi pare che potete dire alle persone con cui ho un briciolo di amicizia di allontanarsi da me!?!»
«Moon, calamati. Non era solo un briciolo di amicizia. Lo sappiamo tutte e tre. Devi prima guarirti e poi potrei aprire di nuovo il tuo cuore!»
«Miranda per favore! Non fare questi discorsi cliché! Non te.»

È passato un mese da quel giorno. Da quella lettera. Ma anche da quel bicchiere condiviso. Da quella carezza nella mia mano che ancora sento nelle ossa.

Un mese da quando Alyssa mi ha guardata come se il mondo potesse essere un luogo possibile.

E poi.

Il vuoto.

Di punto in bianco ho avuto la certezza che l'unica certezza che avevo di era dissolta: la sua presenza.

Che cosa arrogante è decidere per l’altro che cosa è meglio.

Mary.
E Miranda.
Le mie due madri scelte. Le due donne che mi hanno tenuto quando non c’era nessun altro.
Loro.

Sono state loro a consigliarle di allontanarsi.

Le parole precise non le so, ma ho intuito tutto.
Mary parlava al telefono, nel salotto, pensando che io fossi su in camera. Ma la finestra era aperta.
E la voce...
"La ragazza è fragile, Mira. Alyssa lo sa, ha solo bisogno di essere convinta a lasciarla andare, per il suo bene. Ha bisogno di guarire, non di legarsi ancora."

Per il mio bene.
Sempre per il mio bene.

Tutti a sapere cosa mi serve.
Tutti a decidere che non sono capace di reggere l’amore, come se fosse un oggetto di vetro da tenere fuori dalla mia portata.

Ero viva, accidenti.
Con Alyssa.

Con lei riuscivo a respirare. Anche nel dolore. Anche con Rea ancora addosso.

Non cercavo una sostituta!

Cercavo uno spazio dove non dovevo spiegarmi.
Lei lo sapeva.
Lei lo capiva.
Eppure, ha accettato.
Ha detto di sì a quel piano.
Si è fatta convincere che il modo per prendersi cura di me fosse non esserci.

Come si fa a sparire in nome dell’amore?

Sto camminando come un animale in gabbia da stamattina. La camera è troppo piccola, le pareti sanno di sapone e lavanda, ma io sento l’aceto. L’aceto di quando le cose vanno a male e uno continua a tenerle in frigo per abitudine.

Mary mi chiede se voglio mangiare.
Le dico che ho già mangiato.
Mentire mi è diventato facile, da un po’.
Certe bugie non sono nemmeno vere menzogne. Sono solo modi per sopravvivere al disgusto.

Volevano proteggermi.
Che parola pericolosa.
Proteggere.

Mi hanno tolto qualcosa che era mio.
Il diritto di rischiare.
Il diritto di soffrire, se necessario.
Il diritto di scegliere.

E ora cammino, mastico rabbia e silenzio.
Non ho pianto. Non ancora.
La rabbia ha seccato tutto, ha tolto l’umido alle lacrime.
E dentro… c’è questa voce sottile, acida, insistente che continua a dire:

> “Non si fidano di te. Nemmeno lei.”

Non ci credo del tutto. Ma è lì.
Come un ago piantato sotto la pelle.

A volte vorrei urlare.
Andare da Alyssa e gridarle addosso tutto. Chiederle se almeno ha esitato. Se ha combattuto.
Se almeno una volta ha pensato: "Io la voglio, anche se è incasinata, anche se è triste, anche se ha un cuore mezzo rotto."

Oppure se è bastata una telefonata.

Una sola.

"Stai lontana, è per il suo bene."

E lei ha detto: "Va bene."

Sai cosa fa più male?
Non il fatto che non mi ami.
No.
Io so che mi ami.
O qualcosa di simile.
Ma il fatto che abbia pensato che io non potessi reggerlo.

Che amare me fosse troppo per me stessa.

Ecco. Questo mi brucia.
Mi cancella.

Forse tornerà. Forse tra mesi. Forse un giorno dirà che aveva paura, che ha sbagliato.
E io non so se riuscirò a crederle.

Perché in questo momento, in questo preciso maledetto momento, mi sento tradita.

Non da un’amante.

Da chi avrebbe dovuto stare dalla mia parte.

•••

Alyssa Ferrari

Vedere la sua reazione, quel piccolo cedimento negli occhi prima che rialzasse lo sguardo e indossasse il solito orgoglio, mi ha ferita più di quanto avrei creduto possibile.

Mi ero ripromessa che sarebbe stato un distacco discreto. Educato. Pulito.
Ma non esiste niente di pulito, quando si spezza qualcosa che non ha ancora avuto nemmeno il tempo di sbocciare.

La sera della cena sono tornata a casa con un vortice muto nella testa.
Ho sistemato i piatti, ho spento tutte le luci, sono rimasta ore al buio, seduta sul divano come un mobile in più.
Alla fine, con l’insistenza di chi non ha più scuse da opporre, ho accettato che forse avevano ragione loro.

Mary. Miranda. Persone che conosco da tutta la vita, che mi hanno vista crescere, invecchiare, scompormi.
Avevano ragione, mi sono detta.

Io non posso guarire le sue ferite.
Non ne ho il diritto, né forse gli strumenti.
E poi… chi sono io per illudermi di conoscere davvero Selene Noir?

Conosco la sua intelligenza vivissima, la sua capacità di cogliere la più piccola sfumatura.
Conosco il modo in cui guarda le cose — un modo che fa sentire tutto improvvisamente reale, come se nulla potesse nascondersi.
Eppure non so da dove venga davvero quel modo.
Non so quante notti abbia passato sveglia. Non so in quante stanze è rimasta zitta a lungo, fino a sparire.

Alla scuola, nessuno sa davvero quanto e come fosse legata a Rea Sanzio.
Nessuno, tranne forse io.

Due anime tanto simili. Due donne diverse solo per età.
Era scritto che si sarebbero trovate.

Io e Rea... ci rispettavamo, certo, ma senza troppa confidenza. Scambi occasionali nei corridoi, qualche nota d’osservazione pedagogica durante i consigli.
Poi, all’improvviso, la sua sparizione.
Un foglio sulla mia scrivania con le dimissioni. Nessuna spiegazione.

Un anno dopo, eccola di nuovo. Tornata come se nulla fosse.
E con lei, il riflesso muto di una ferita: quella nei gesti e negli occhi di Selene.
All’epoca non capivo. Ora sì.

Da allora, la mia mente è una stanza che si riempie di nebbia.
Ogni volta che penso a Selene, il cuore mi si stringe in un nodo, e poi, subito dopo, si allarga come un campo invaso dal vento.

Mi sto ripetendo da settimane che ho fatto la cosa giusta.
Che essere scostante, trattenere gesti, centellinare parole, è un atto d’amore più grande del cedere.
Eppure so bene — lo so — che se solo cedessi un secondo, lei tornerebbe.
Si avvicinerebbe in silenzio, con quella sua calma da animale che annusa il pericolo ma va comunque incontro al fuoco.

Ed è questo che mi fa paura.
La sua fiducia. La sua ostinazione.
La sua fede in me, come se io fossi qualcosa di stabile, qualcosa che salva.

Non lo sono.
E non posso esserlo.
Non per lei.

È sabato sera.
La solitudine preme come una coperta troppo stretta.
Troppo silenzio in casa, troppa memoria in ogni stanza.
So cosa devo fare.

A pochi passi da casa c'è un locale in penombra, dove la musica non aggredisce e i volti si perdono tra i bicchieri.
Lo frequento di tanto in tanto, più per cercare silenzio che compagnia.

Mi siedo al bancone, ordino un Espresso Martini. Poi un secondo.
L'alcol non fa effetto, non stasera.

E proprio quando inizio a pensare che potrei restare lì tutta la notte, immobile, a pensare e a rocordare, una voce — quella voce — mi attraversa l’aria come un coltello.

«Un margarita. No aspetta, meglio un mojito.»

Mi volto.
Selene è lì.
Più bella del ricordo, più viva del pensiero.
E io non ho alcuna difesa.

Se non la conoscessi la crederei un'adolescente che si diverte il sabato sera. In quegli occhi vedrei soltanto lo sguardo di chi ha bevuto troppo e non il suo dolore.

Non serve nascondersi, non è nelle condizioni per vedermi o riconoscermi. Resto ad osservarla, a sorvegliarla visto che non vedo né Adele né Tea con lei.

Ordina altri tre drink nel giro di due ore.
Molti shot le sono stati offerti.
Da uno in particolare, non so il nome, che ad un certo punto le chiede qualcosa e lei fa un cenno positivo con la testa e spariscono.

Aspetto un minuto. Due. Tre. Conto fino a che l'orologio non ne segno trenta e a quel punto esco dal locale e mi dirigo nel retro.

Ciò che vedo è orripilante, raccapricciante.

«Bambolina, vuoi il giocattolino?»

Si scambiano qualche altra parola e li vedo molto alterati.

«Ho detto: comando io!»

La sbatte al muro e le blocca i polsi sopra la testa.

A quella rudezza non riesco più a stare al mio posto.

Non posso ignorare l'aggressività di quei gesti, non posso fare finta di niente.

Non posso permettere che si faccia questo.

«Ehi!!» Il ragazzo si gira scocciato.
«Che vuoi? Siamo occupati.» Poi mi guarda e si lecca il labbro superiore.

«Ma se vuoi posso concederti qualche attenzione. Sei matura ma bella da morire!»
«Mi fai schifo. Stai per approfittare di una ragazza evidentemente turbata.»

«Che ne sai? È una troia! Bambola, sei proprio una puttana.» Si rivolge a lei.

«Una puttana che ti scopi!» risponde acida.
Dai, allora non è totalmente andata fuori di testa!
Ha ancora il suo fare orgoglioso.

Alla sua risposta riceve uno sculaccione «Se parli ancora, ne riceverai altri.»

Poi si rivolge nuovamente a me. «Ma che cazzo ci fai ancora lì!? Vuoi vederci scopare? Ti accontento!»
Nel farlo lo tira fuori e io senza nemmeno accorgermene gli ho dato un pugno nella guancia sinistra.

«Ma sei una-»

Non lo lascio finire che gli lascio un livido anche sull'altro lato.

Odio le cose asimmetriche.


Lei resta immobile.
«Professoressa?» bisbiglia, ma non sa nemmeno se è reale.
«Ci sono io. Dai, vieni. Andiamo a casa.»

Non la porto da Mary.
Non stasera.

La tengo stretta, come si tiene qualcosa che ha già cominciato a disfarsi.
Ha il volto affondato contro la mia spalla, profuma di rose, come sempre.

Non parla più. Nemmeno nel silenzio.

È una Selene diversa, questa.
Spenta, ma ancora bellissima.
E io mi odio per ogni volta in cui non l’ho cercata.

La metto sul letto con delicatezza.
Le tolgo le scarpe, le passo un panno umido sulla fronte, le sistemo i capelli.

Oh, piccola mia…
Mi stai uccidendo così.
A vederti ridotta in questo stato, a sapere che non è la prima volta.
A intuire quante notti ti sei fatta male da sola solo per zittire un dolore più grande.

Chissà da quanto ti punisci.
Da prima di me.
Da prima ancora di Rea, forse.
Da sempre.

Dolce Lillà.

Non ti dispiace se ti chiamo così, vero?
Lo so, penserai che è un nomignolo da bambina un po' lo sei, di sicuro rispetto a me...

Vorrei aiutarti.
Vorrei portarti via da tutto.
Ma io sono solo un’eco, una persona che arriva tardi, sempre un po’ troppo tardi.

Non posso salvarti.
Non posso farlo io.

Devi volerlo tu.
Devi decidere di restare al mondo, non per me, non per Rea, non per tua madre, non per Mary.
Ma per te stessa.

Per la Selene che sei sotto tutte queste macerie.
Per quella ragazza che risponde con l’intelligenza anche quando barcolla.
Che non si lascia mai zittire del tutto.
Che sa ancora distinguere il pericolo, anche se a fatica.

Ti guardo dormire.
Il viso contratto, le labbra socchiuse, le mani strette a pugno.

Non posso salvare chi non vuole essere salvato.
Ma se un giorno, anche solo per un istante, mi chiedessi aiuto…
Giuro che non esiterò.
Nemmeno per un secondo.

Selene Noir

Quando mi sveglio sono su un letto che, decisamente, non è il mio...  delle lenzuola blu navy non le ho mai comprate… ma non ricordo nemmeno di essere andata a casa di qualcuno…

Devo aver bevuto troppo.
Da un mese a questa parte il sabato sera è così sera è così, mi faccio sbattere da un po' di persone e poi torno a casa. A quanto pare ieri sera ero troppo stanca e mi sono addormentata. È meglio che vada.

Chiamo Mary. «Arrivo.» Attacca subito dopo.
Da quando non sono più in me è così, mi distacco dalla realtà e poi corro da lei, o meglio: la chiamo e lei corre. Sa sempre dove trovarmi perché viste le mie innumerevoli recenti pazzie ho la posizione live condivisa con lei e Mira.
Nonostante le nostre frequenti discussioni, so che mi vogliono bene e che il ne voglio a loro.

Sono la mia famiglia.

Appena chiudo la chiamata la porta di camera si apre e vedo l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere.

«Buongiorno. Ben svegliata bella addormentata!!»
«P-prof… che? Dove…»

«Sei a casa mia. Ci siamo incontrate ieri sera ed eri in uno stato… ehm, diciamo confusionale.»

Non ho il tempo di rispondere perché suona il citofono e sento Mary entrare.
Mi prende in braccio e mi mette sul lato passeggeri per poi restare a parlare con la Ferrari.

Le palpebre si fanno pesanti e le parole confuse, sento pochi discorsi in modo chiaro.


«Mary, sono preoccupata per lei. Si sta facendo del male.»
«Per non sentire l’altro male. Deve affrontarlo, ma non lo fa perché crogiolarsi nel dolore è più facile. Lo conosce, sa come è e come la fa sentire… e le ricorda Rea. Le manca molto, noi non sappiamo molto del loro rapporto, ma indubbiamente era molto profondo.»
«Non mentire a te stessa. È anche per colpa nostra. Un mese fa non era così!!»

«Aly…»
«Maria, mi sono fidata di voi che la conoscete meglio di me e continuerò a farlo. Per ora. Ma se vedrò che continuerà così interverrò io.»

Mi dispiace molto per come mi sto comportando nei confronti di Mary, di Mira, di me stessa.

Quando mi sarò ripresa mi sdebiterò, ma adesso sono così stanca, stanca di essere sola e di vedere le persone scivolare via dalle mia mani… vorrei solo… dormire, sì.

Dormire un po'...

______________

✍️💘

Che dite, Selene si merita un po' di riposo??

Nella foto la donna sveglia è Alyssa. Come fosse detto, l'AI non comprende né le sfumature dei colori né l'età, perciò anche una donna risulta una giovane donna.

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