抖阴社区

7. Hofer's College

33 3 1
                                    

Fu proprio la camicia verde che mi vide indossare quella sera il mio compagno che ruppe la pace nella mia testa. Succedeva ogni tanto che io ed Emile ci incrociavamo per le stradine del campus, salutandoci anche con un gesto del capo, ed infatti, dopo poco più di un paio di giorni dalla nostra serata, ci rivedemmo appena fuori dalla mensa.
Entrambi ci salutammo come consuetudine, Emile quel giorno era in compagnia di Murphy e si vede che avevano un altro incontro per il progetto di quest’ultimo. Emile era sempre fin troppo disponibile con tutti e molto spesso avevo pensato che quel suo lato avrebbe mandato in rovina la sua persona.
“Ora vi imprestate anche gli abiti?” interruppe nei miei pensieri la voce di questo ragazzo che mi aveva visto indossare la camicia verde di Emile. Il suo commento mi fece sgranare gli occhi e subito negai con tono alquanto irritato, attirando l’attenzione di Emile e Murphy.
“Ehi! Sinclair! è davvero tua quella camicia? o di Maire?” chiese a tono alto il ragazzo mandandomi totalmente in corto circuito, come ci saremmo tirati fuori da quel disguido ora? Era la fine, volevo già morire nell’imbarazzo, ma Emile non si agitò.
“Ne esistono molto di questo genere, può essere che ne abbia una simile” alzò le spalle il maggiore con espressione serena e divertita.
“Nah, non credo. Maire si veste sempre con camicie bianche, non gliel’ho mai vista una colorata addosso.”
“Magari ha fatto shopping durante le vacanze, chi lo sa” continuava a difendermi Emile con calma e pacatezza, mentre quello stronzo cercava come farmi affondare a picco con quelle vere “false” accuse.
“Ma scusa, perchè Emile avrebbe dovuto prestare la sua camicia ad uno così? Da quello si può solo prendere che una malattia. La sua camicia gli andrebbe troppo larga, ma lo hai visto?”
Murphy distrusse l’argomento con quella frase netta e secca, accoltellando il mio aspetto esile e magro; la mia testa si spense totalmente e mi sentii in imbarazzo solo per la mia esistenza in quel momento. Di corsa, cercai gli occhi di Emile che non trovai: il suo capo era basso verso terra e si stava arruffando i capelli con una mano, mentre il braccio di Murphy penzolava attorno al suo collo, trasportandolo via da lì in fretta e furia, estremamente scocciato.
A tutti quanti quei commenti entrarono da un orecchio ed uscirono dall’altro fin troppo facilmente, mentre a me si incastonarono nella testa.
“Maire, sbrigati" chiamarono le voci dei miei compagni ormai all’entrata della struttura.

Tutto quell’odio e schifume che ero riuscito ad ignorare in quei ultimi mesi, si ripresentò il doppio più violento in me: rividi la mia figura esile e scarna allo specchio, la mia carnagione olivastra da morto e nauseabondo essere accompagnata ora dalla figura della malattia.
All’improvviso non mi sentii molto bene, gli occhi mi si appannarono di lacrime e persi il controllo sul corpo che iniziò a tremare respirando a vuoto. La testa, riempita da pensieri di schifo e malessere, mi fece allontanare per il resto della giornata dalle lezioni, portando il mio corpo a rinchiudersi in camera non volendo vedere nessuno, nemmeno me stesso.
In sé, il comportamento indifferente dei presenti non mi aveva toccato molto sul personale, ma quello di Emile si. Dopo essersene andato aveva detto qualcosa a Murphy? O era restato muto ignorando l’accaduto? Emile poteva benissimo aver fatto entrambe le cose, lo conoscevo ormai e poteva agire come testa calda oppure restare calmo prima di sapere le mie condizioni. Ma fui onesto con me stesso: Emile non lo avrei rivisto sicuramente a breve e in un certo senso mi sentii sollevato.
Lui era stato uno dei pochi ad avermi visto senza maglia, quasi nudo, non mi ero preoccupato delle apparenze almeno fino a quel giorno: ora anche Emile sarebbe diventato restio verso di me? Mi avrebbe guardato dall’alto in basso con quel tono di lieve schifo?
Perché avevo quei pensieri? Non era stato lui gentile con me fino a quel momento per caso? Cosa mi portava a distruggerlo così nel giro di poco?
La mia bassa autostima, ecco cosa era: le mie paranoie mi sussurravano divertite all’orecchio di come non fossi neppure lontanamente al livello di Emile, come io fossi sciatto, una persona mediocre e ignorabile, stupida a suo confronto che non sapeva memorizzare neppure una decina di nomi. Ero inferiore a moltissimi in quel collegio ma per un attimo, con Emile al mio fianco, mi ero sentito normale.
Volli, sperai, che quel malessere sparisse nel giro di poco, che durasse giusto un giorno, ma mi dimenticai di come un pensiero, per quanto stupido, se un minimo tossico, si attanagliasse avidamente alla mente umana. Camminavo con questo mostro attaccato alla testa, che penzolava in ogni direzione in cui guardassi, portandomi a vedere solo disgusto ed ansia nell’essere sotto osservazione dagli altri. Speravo vivamente che nessuno mi notasse, vedesse quanto il mio stress mi faceva mangiare, portandomi ad abbuffarmi in modo abusivo di qualunque cibo mi capitasse sott’occhio.
“Non è che abbuffandoti recuperi lo spazio in quella camicia, lo superi, Maire” questo era uno dei vari commenti stronzi che mi arrivarono dai compagni di classe nei giorni successivi al commento d’innesco di Murphy, nel vedermi mangiare più del dovuto.
Quando mi affogavo nel cibo speravo sempre di aver toccato il fondo, ma ogni volta era sempre peggio. Nel giro di poco lo stomaco si chiuse e mi fece sentire stanco e pieno all’improvviso a metà pasto. Il cibo che stavo masticando divenne improvvisamente senza gusto e sciatto, mi impastava la bocca, rendeva difficile respirare o mandare giù un solo goccio d’acqua.
Terminavo ogni pasto con lo stomaco sovrastato dal dolore del troppo cibo iniziale, che grazie a dio ancora non mi mettevo a vomitare, sapendo che mi servissero energie per il resto della giornata.
Con questo andazzo, dopo una settimana, credo, ripresero le lezioni di copia dal vero e con noi tornò anche la classe di  Emile. Era da qualche mattina che non lo vedevo, ma oltre a vari saluti campati in aria, non ci avevo più parlato, né mi ero fatto vedere da lui. Il mio aspetto era ironicamente peggiorato, e se mi chiedevano se tutto andasse bene, io dovevo mentire con un sorriso dicendo che sì, tutto andava bene, mentre le mie occhiaie e il colore della mia pelle contraddicevano tutto.
Erano buone maniere non infastidire gli altri con problemi personali in fondo.
Le lezioni della Moser erano le uniche con cui andavo con piacere come sempre e che non avevo ancora saltato: mi sedevo nel mio solito posto ad attendere che la lezione iniziasse, ma senza osservare nient'altro al di fuori della mia sanguigna rossa.
Sentii un certo casino dietro le mie spalle durante l’entrata di entrambe le classi, ma non mi voltai ugualmente, restando fisso con lo sguardo sullo strumento.
"Perché sei qua?” chiese uno dei miei compagni dietro di me, ebbi un po’ di ansia che parlasse con me, ma alzato il viso notai che era rivolto oltre con lo sguardo. Confuso mi voltai poco più con il busto e vidi Emile.
Seduto sullo sgabello con quel suo sorriso sereno costantemente su volto, c’era il mio amico che rispose in modo semplice: “Non posso sedermi a fianco a Maire? é mio amico dopo tutto.” Soffiai una risata a voce alta a quel commento che attirò l’attenzione di tutti.
“Non credo lo pensi di te” disse il mio compagno e subito mi sentii pronto a ribattere.
“Senti, almeno Emile sa il mio nome” dissi con tono scazzato che zittì il ragazzo e fece scoppiare a ridere Emile da dietro le mie palle. L'insegnante chiamò silenzio per spiegare come si sarebbero suddivise quelle ore di lezione ed infine ci diede il via.
Attesi qualche istante prima di disegnare, ma quando alzai il braccio lo sentii debole ma al contempo rigido: sapere di Emile dietro di me mi rese nervoso poiché poteva pensare di me qualunque cosa e così dei miei disegni. La mano tremò qualche istante ma non tracciò nulla, si abbassò e spostai lo sguardo sul modello: aveva una bella pelle, una bella forma, una muscolatura giusta e qualche proporzione che mi faceva irritare nella composizione, ma almeno non aveva alcun tic.
Non disegnai nulla nella prima ora, non ci riuscii, il senno di stanchezza e ansia era più grande di me che ero rimasto a girarmi fra le dita la sanguigna.
“Non aveva alcun tic il modello, hai notato un dettaglio peggiore?” la mano di Emile raggiunse le mie appena si chinò di fronte a me, per vedermi in viso, non risposi alla sua domanda, né alzai gli occhi sul suo viso, troppo vergognato delle mie condizioni.
“Stai bene, Henri?”
“Non ero Maire?” chiesi ironico notando come ad inizio ora mi avesse chiamato per cognome. Emile alzò le spalle sorridendo e trovando una risposta.
“Se ti chiamavo per nome, quel tizio avrebbe capito che mi riferivo a te? Non sa neppure il tuo nome, no?” Sorrisi debolmente alla sua risposta ed annuii con il capo.
“Vuoi uscire a prendere aria?” annuii di nuovo e gentilmente Emile mi accompagnò sul balcone all’aria fresca.
Appoggiai la schiena contro il muro dell’edificio, giusto per nascondermi meglio dagli occhi della classe. Emile rimase in piedi davanti a me a sorridermi gentilmente… Dovevo fargli di una pena probabilmente; anche se negli ultimi mesi era successo ogni tanto che mi vedesse in ansia o di cattivo umore, solitamente mi risollevavo nel giro di poco con la sua strana ed infinita serenità.
“Che succede?” chiese mentre una folata di aria gli scompigliava i capelli neri. Osservai la sua camicia verde aderire alla sua figura e, come avevo potuto notare, Emile era magro, ma la muscolatura era visibile e non era sicuramente spiacevole da vedere. Il ragazzo seguì il mio sguardo e tentò di intuire: “Non ti piace la camicia?” annuii.
“Come mai? Mi sta male?” negai sorridendo leggermente. Mi sentii riportato a quando ero bambino, impaurito di dire le cose per paura di essere sgridato per le mie sciocchezze.
“Ti sta molto bene, ma non lo starebbe a me” mormorai allungando una mano ad accarezzare la stoffa.
“A te sta bene, l'hai già indossata, no?” Il tono di Emile si fece in qualche modo più dolce e a modo. Non era un tono con cui si parlava ad un bambino, ma un tono amorevole e preoccupato, che si riserva solo agli innamorati. Una sua mano raggiunse la mia ed a sua volta la accarezzò delicatamente, come se fossi stato io delicato a mia volta.
“È per i commenti che ti hanno fatto la settimana scorsa?”
“Sei sveglio” sorrisi notando sorpreso di come si ricordasse, ma non erano solo quelli.
“Ma sono più cose..”
“Tipo?” alzai gli occhi stanchi sul ragazzo e mi sentii riempire di tristezza.
“Tipo te”
“Tipo me? Ho fatto qualcosa di sbagliato?" subito Emile si allarmò e mi strinse la mano volendo sapere dove e quando, ma io negai con il capo.
“No, non hai fatto nulla te. Credo solo che io non sia all’altezza di stare con te.”
“Che stupidaggine! Non c’è bisogno di nessuna altezza, e nessuno decide per me.” Sgranai gli occhi sul suo viso pieno di rabbia e quasi mi venne da ridere.
“Chi lo ha detto?”
“Tutti.”
“Tutti chi?”
“Murphy, i miei compagni, io..”
"Siete tutti dei cretini” mi lasciai sfuggire una risata sonora che zittì subito con una mano sulla bocca, mentre i miei occhi diventavano lucidi senza un motivo valido… o forse era solo Emile il motivo.
Non mi aveva ancora lasciato la mano.
“Non mi è piaciuto il comportamento di Murphy di quel giorno e quando gliel’ho fatto notare, abbiamo avuto una considerevole litigata, ma sono comunque il suo modello e per quanto si sia comportato di merda, nel suo progetto sono coinvolte troppe persone.” Annuii capendo.
“Oggi potresti venire con me durante il progetto, in modo da potervi chiarire e ricevere delle scuse.”
“Io? In queste condizioni? Darei prova di essere veramente uno da cui puoi solo che prendere una malattia."
“Ma stai zitto, Henri! Da te non si prende proprio un bel niente, se anche fosse non sarebbe una malattia, ma una bella risata” Sorrisi alla risposta salvata di Emile e lo guardai mentre lui mi scuoteva la mano per convincermi, come un bambino piccolo lo faceva con la mamma.
“Me ne vado appena mi sento a disagio però, ok?"
“Ok” sorrise Emile.
“Ora cerca però di concentrarti sulla copia, che se non fai nulla anche la Moser ti dovrà riprendere” Lo disse con un tono quasi consapevole delle numerose assenze in quegli ultimi giorni. Emile mi sistemò un po’ i capelli prima di invitarmi a rientrare con lui per riprendere la posa. Quando mi sedetti sullo sgabello il braccio non era più stanco e tremante, era tornato alla sua forma normale e, anche se poco, mi permise di disegnare qualcosa sotto l’influenza positiva che Emile emanava alle mie spalle.

A fine lezione il maggiore mi aspettò pazientemente mentre mettevo via gli strumenti. Lo feci con calma in modo da cercare di tranquillizzarmi un minimo prima di arrivare davanti a Murphy.
“Ci sei?”
“Sì, arrivo.” raggiunsi così Emile e cercai di non farmi vedere nervoso, ma era impossibile nasconderlo a quel ragazzo, difatti subito si chinò leggermente davanti al mio viso con un sorriso e mi guardò.
"Nervoso?"
“Ansioso” corressi io in un borbottio che fece sorridere il ragazzo, Emile mi accarezzò poi la schiena invitandomi a seguirlo con il suo dolce tocco.
“Finito tutto andiamo a prenderci un tè al bar?” domandò sapendo che non potevo rifiutare. Infatti la sua proposta mi tentò subito, ma cercai di non cedere direttamente, facendo un po’ il sostenuto.
“O un caffelatte, quello che vuoi” si corresse poi un po’ preoccupato di aver esagerato a dire subito tè, ignaro di come ormai per me fosse diventata una bevanda gradevole.
“Ci starebbe” dissi soltanto trattenendo un sorriso soddisfatto al suo invito.

Non c'è nulla di specialeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora