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La Morte della Montagna

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Il contingente d'élite inviato di Minamoto no Yoritomo, composto solo dai migliori guerrieri che il loro signore era riuscito a radunare sotto il suo comando e ad addestrare fino a renderli i soldati migliori dell'arcipelago nipponico, era fermo, anzi pietrificato, di fronte all'entrata del castello di Koromogawa.

Nessun guerriero osava più emettere un suono né, tantomeno, fare un passo in avanti, avendo paura della figura immobile che impediva loro di proseguire nella missione. Avevano avuto ordine di entrare nel castello, sterminare chiunque opponesse resistenza e uccidere Minamoto no Yoshitsune, fratello del loro signore, traditore della sua stirpe... e per quanto tutti avessero sentito le storie, favolose e cariche di esagerazioni, delle prodezze compiute da Benkei, braccio destro di Yoshitsune da molti anni, nessuno aveva mai creduto che tutte quelle gloriose esagerazioni corrispondessero a verità.

La figura dello Yamabushi guerriero osservava tutto il contingente con cipiglio severo, dall'alto dei suoi oltre due metri di altezza: il capo rasato, avvolto solo da una striscia di tessuto bianco, era macchiato del sangue, suo e dei suoi nemici; il corpo, mastodontico e a dir poco muscoloso, era avvolto nella classica veste da monaco, ma era tempestato da decine di frecce, conficcate in ogni dove; le braccia, tenute aperte e lontane dal corpo, erano contratte in uno sfoggio di potenza impressionante; nella mano destra, la lunga naginata del monaco guerriero era tenuta ben stretta e, poco prima, Benkei l'aveva sbattuta per terra, scuotendo la terra e riempiendo l'aria con il rombo di un tuono.

"HO DETTO... CHE NESSUNO PASSERà DA QUESTI CANCELLI! NESSUNO DISONORERà ANCORA IL NOME DEL MIO SIGNORE!" aveva urlato il gigantesco monaco guerriero dopo aver equiparato l'esplosione di una folgore con l'impatto della sua arma preferita. La sua voce, probabilmente, era risultata ancor più potente del più fragoroso dei tuoni.

A quel punto, gli uomini di Yoritomo arrestarono del tutto la loro offensiva, attendendo impauriti cosa quella figura granitica avrebbe riservato loro.

Benkei era sempre stato formidabile, fin dall'infanzia, quando con il nome di "Oniwaka", Bambino-Demone, riusciva a prevalere su qualsiasi avversario grazie alla sua stazza smisurata, che gli meritò mille storie truci sul come fosse il figlio di uno spirito. In gioventù, superando in altezza e in muscolatura praticamente qualsiasi altro guerriero umano del Giappone (e forse anche buona parte degli Oni presenti nell'arcipelago), Benkei, divenuto prima monaco-guerriero e poi yamabushi, asceta ed eremita, aveva sfidato e sconfitto, con loro sommo disonore, ben novecentonovantanove samurai prima di trovare l'unico degno del suo rispetto.

Minamoto no Yoshitsune, ultimo figlio di Yoshitomo, cresciuto dai monaci e divenuto guerriero errante, maestro inarrivabile di kenjutsu... l'uomo che aveva fermato la missione personale di Benkei di smascherare la viltà dei samurai... l'uomo che, in quel momento, stava per terminare il rituale del seppuku dopo essere stato vilmente tradito dal suo ospite.

Benkei aveva seguito fedelmente il suo signore, il suo più fraterno amico, combattendo fianco a fianco con lui in ogni battaglia, sterminando almeno trecento uomini ogni volta che calcava la terra innaffiata di sangue. Trovatisi, tuttavia, traditi e senza difese, l'asceta guerriero si era ripromesso un'ultima impresa: nessuno avrebbe fatto morire nel disonore il suo povero amico.

Nessuno avrebbe attraversato i cancelli del castello di Koromogawa. Nessuno avrebbe potuto interrompere Yoshitsune. Nessuno avrebbe potuto metterlo in ginocchio finchè non si fosse compiuto il loro triste destino.

All'arrivo dell'esercito, Benkei si era fatto trovare sempre di fronte al portone, sempre a braccia aperte e con la naginata tra le mani, e aveva anche allora espresso apertamente la sua intenzione di non far passare nessuno. I soldati si erano guardati per qualche istante e poi la prima linea aveva caricato... in pochi secondi la prima linea era ridotta in pezzi, sterminata dalla naginata e dalla forza sconfinata del monaco guerriero.

Come una frana talmente possente da far tremare la terra, il monaco si era avventato sui nemici che avevano osato avvicinarsi, travolgendoli con la sua forza soverchiante e tranciando le loro carni con la naginata, la cui lama baluginava ogni volta che il gigante sferzava l'aria e annientava i guerrieri suoi avversari.

Pochi soldati erano stati capaci di avvicinarsi abbastanza da colpire il monaco e, anche in quei casi, le ferite che il gigante riportava erano di lieve entità o, comunque, non sembravano rallentarlo né indebolirlo minimamente. Tre... quattro... cinque ondate furono annientate da Benkei che, pur sanguinante, non accennava a cedere la sua posizione.

I comandanti del contingente massacrato presero quindi una decisione: se l'assalto frontale non aveva sortito effetto, le frecce scagliate da lontano lo avrebbero fatto, ferendo Benkei, tenendolo a distanza e facendolo deperire lentamente a causa delle numerose ferite.

I (pochi) guerrieri rimasti ad assaltare Benkei si ritirarono e in pochi istanti nugoli di frecce volarono a folle velocità contro il monaco guerriero. Ma Saitō Musashibō Benkei dimostrò quanto il soprannome "Oniwaka" fosse stato meritatissimo: urlando e girando a folle velocità la sua naginata, il gigantesco guerriero deviò e spezzò a mezz'aria una quantità impressionante di frecce e resistette senza arretrare di un solo passo alle relativamente poche che riuscirono a colpirlo.

Quando finalmente gli arcieri ebbero ordine di fermarsi, Benkei, sì con due dozzine di frecce in corpo ma con decine e decine delle stesse ai suoi piedi, rotte dal folle movimento della sua arma, si era rimesso in posizione, aveva sbattuto forte l'asta della naginata sul terreno e aveva urlato il suo proposito, lasciando paralizzati per il terrore tutti i suoi ancora innumerevoli nemici.

Nessun comandante osò dare alcun ordine e nessun guerriero osò più scoccare frecce o provare l'assalto frontale. Con il sole che pian piano si ergeva alle spalle del monaco, questo parve una montagna inarrivabile di forza e volontà, un monte più solido e pericoloso persino del monte Fuji, il masso inamovibile che il divino Izanagi aveva posto all'ingresso dello Yomi per frenare la corsa folle della moglie defunta.

Lo sguardo, fisso, del monaco guerriero Benkei tenne tutti sotto scacco finchè, dal castello, un servo non annunciò la fine del rituale di seppuku di Minamoto no Yoshitsune, balbettando per il nervosismo originato dalla paradossale scena di un solo, seppur titanico, uomo che teneva paralizzato un intero esercito. Solo allora Benkei chiuse gli occhi, ma non si mosse dalla sua posizione.

I soldati, fallita la missione di dissacrare la morte del rivale del loro signore, non seppero bene cosa fare e, impauriti dalla strenua resistenza di Benkei, non sapevano neanche se fosse saggio avvicinarsi per chiederne la resa ora che il suo scopo era stato compiuto.

"Taro, muoviti! – ordinò uno dei comandanti ad un giovane e tremante guerriero – Va' ad arrestare la Montagna!"

Taro, esile e spaventato, fu spinto in avanti verso quella "montagna" così terrificante... ma quando vi si avvicinò fino a toccarlo, vide che il corpo non si muoveva più... neanche per respirare.

Benkei, l'asceta guerriero, era morto difendendo la sua posizione, onorando fino alla fine il suo caro amico nonostante l'infamia in cui erano entrambi incorsi, vittime di un gioco politico troppo grande e pericoloso per loro. Ma il suo scopo era stato raggiunto: nessuno degli uomini di Yoritomo entrò mai nel castello di Koromogawa e le spoglie mortali di Minamoto no Yoshitsune furono accuratamente preparate dai traditori a cui andava imputata la sua dipartita, per poi essere inviate al fratello vincitore come prova del suo successo.

Benkei invece fu, faticosamente, spostato dai guerrieri suoi assassini, che lo onorarono non solo concedendoli le giuste esequie, ma rendendolo immortale nei ricordi loro e di coloro che avrebbero di lì in poi udito la storia di Benkei "La Montagna", il bimbo oni divenuto monaco guerriero che, neanche nella morte, conobbe mai il disonore di cadere in ginocchio e tradire, come altri più vicini a lui avevano fatto, il caro e sfortunato Minamoto no Yoshitsune, suo rivale, amico e vero fratello.  

Mitovembre 2023 - ElementaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora