Era arrivato il giorno. Quello che sembrava così lontano, irraggiungibile, ora era lì, addosso come una seconda pelle che pizzicava e faceva fatica a staccarsi. La semifinale.La casetta era silenziosa quella mattina. Nessuno parlava più del necessario. Nessuna battuta. Nessun biscotto rubato. Solo sguardi carichi, tesi, e mani che tremavano anche solo mentre si allacciavano le scarpe.
Il palco ci aspettava.
Le luci erano forti, quasi accecanti. Il cuore batteva forte, così forte che mi sembrava di sentire il sangue nelle orecchie. Eravamo lì, tutti e otto, stretti in uno spazio che sembrava enorme e minuscolo allo stesso tempo.
La gara cominciò.
Francesco e Daniele furono i primi a ballare. Potenti, precisi. Francesco sembrava volare, e Daniele non era da meno. Il pubblico esplodeva in applausi, ma io non riuscivo a battere le mani. Avevo le dita gelate.
Poi toccò a Nicolò e Antonia. Un'esibizione intensa, fisica, carica di tensione. Lo guardavo. Lo guardavo sempre, anche quando non volevo. E sentivo una fitta. Perché lui brillava... ma sapevo che dentro portava ancora le ferite dell'ultima saletta video.
Poi chiamarono me e Nicolò.
Entrammo insieme. Mi tremavano le gambe, ma lui mi lanciò uno sguardo. Quello sguardo. Quello che diceva "ci sono". E mi aggrappai a quello, come a un'àncora.
La musica partì. E io cantai. Cantai tutto. Tutto il dolore, la rabbia, l'amore, la delusione. Lo cantai a lui, per lui, contro di lui, con lui. Era un duetto, ma era una confessione. Quando finì, il pubblico era in silenzio. Poi applausi. Ma io non sentivo nulla. Solo il mio cuore, in frantumi e in volo.
Poi arrivò Daniele contro Trigno e Nicolò insieme. Un'esplosione. Tre stili diversi, tre cuori che si scontravano e si cercavano sul palco. E io lì, a guardare, quasi trattenendo il fiato.
E poi... pausa.
Maria annunciò la presentazione degli EP.
Uno a uno, salirono sul palco con i loro titoli, le copertine, le emozioni.
Trigno: a un passo da me
Nicolò: un'ora di follia
Antonia: Relax
Cecilia: il tempo di un abbraccioQuando pronunciarono il mio titolo, le ginocchia mi cedettero per un istante. Lo avevo scelto perché era così che mi sentivo: come se ogni emozione mi parlasse da dentro, attraverso la voce. Era la mia verità. E l'avevo messa tutta lì, in quei brani.
Poi si tornò alla gara.
Maria chiamò i ballerini al centro.
Il primo a prendere la maglia della finale fu Francesco. Se lo aspettava, tutti se lo aspettavano, ma lui si commosse lo stesso.
Poi Alessia. Era bellissima, radiosa, incredula.
Infine, Daniele. La sua maglia fu una consacrazione.
Poi fu il turno dei cantanti.
Maria ci chiamò tutti. Eravamo lì. Tre posti in finale, cinque nomi. Il fiato era sospeso.
Uno a uno cantammo il nostro inedito.
Trigno incendiò lo studio. La sua voce era un terremoto.
Antonia fu dolce, ma precisa.
Nicolò mise l'anima, io lo vidi tremare mentre cantava.
Io... io chiusi gli occhi. E cantai con tutto il corpo, ogni nota, come se fosse l'ultima.Quando finì, c'era solo silenzio.
Poi Maria ci guardò. E disse:
«Il primo cantante a prendere la maglia... è Trigno.»
Applausi. Urla. Lui era pronto, lo sapevamo.
«La seconda... è Antonia.»
Lei si portò le mani alla bocca. Piangeva. Io cercai di respirare. Mancava un solo posto.
Rimasti: io e Nicolò.
Maria ci fece un cenno.
Ci avvicinammo. Vicini, troppo vicini. Sentivo il battito del suo cuore. Il mio sembrava non esserci più.
Maria ci prese per mano.
Ci guardò. E disse:«Purtroppo, per voi... non ci sono altre maglie.»
Il tempo si fermò.
Non capii subito.
Lo sguardo di Nicolò rimase sereno. Respirò piano. Fece un piccolo inchino verso Maria. «Grazie per tutto,» disse con voce ferma. Quasi sorrise.
Io invece... io no.
Sentii il gelo salirmi dalla pancia alla gola. Non riuscivo a parlare. A muovermi.
Non me lo aspettavo.
Non così.«Grazie...» riuscii solo a sussurrare, guardando verso il basso. Le gambe mi portavano fuori da sole.
Appena uscii dallo studio, crollai.
Le lacrime scoppiarono senza controllo. Grandi, calde, amare.
E poi... lui. Nicolò.
Mi raggiunse. Mi avvolse tra le braccia. Forte.
«Non è giusto...» singhiozzavo. «Non così... Non doveva finire così...»
«Lo so,» mormorò. «Lo so, Ceci.»
«Avevo ancora qualcosa da dire... da dare...» dissi, con la voce spezzata.
Mi strinse. Più forte.
«L'hai detto. L'hai dato. Io l'ho sentito. Tutti l'hanno sentito.»
E restò lì. A tenermi mentre il sogno si sgretolava.
Ma in quel momento capii che forse, in mezzo a tutto quel dolore, qualcosa l'avevo comunque vinto.
Non la finale. Ma qualcuno che, anche fuori dal palco, credeva ancora in me.

STAI LEGGENDO
The light in his darkness // Nicolò Filippucci
FanfictionEra un pomeriggio di Dicembre quando Cecilia,una ragazza 17enne, lavora in un bar di periferia di Firenze, come sempre in tv fanno il pomeridiano della scuola di amici e spera con tutta sé stessa di entrarci, dato che fin da piccola ha avuto il sogn...