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Siamo tutti la perversione di qualcuno, il sogno di un altro e il rimpianto di un altro ancora.
-Charles Bukowski.
Alexander
L'autocontrollo.
Nel corso della storia, illustri pensatori hanno riflettuto e scritto sull'importanza del dominare il proprio 'io animale'.
Grandi filosofi come Platone e Aristotele credevano fermamente che la parte razionale dell'uomo deve sovrastare, ma soprattutto moderare, quegli istinti primordiali che tutti posseggono.
Platone supponeva che l'anima, costretta ad essere prigioniera di un corpo, avesse tre funzioni ben precise, ma al contempo diverse tra loro.
L'anima concupiscibile, ovvero quella parte desiderosa di esperienze materiali, capace di sottomettere la ragione umana e dominata dall'appetito. Essa rappresenta il gradino più basso dell'anima.
In secondo luogo troviamo l'anima irascibile, soggiogata dalle emozioni e dagli impulsi. Ci induce ad agire e rappresenta una sorta di legame tra la parte concupiscibile e quella razionale.
Infine, come vi ho già anticipato, la nostra anima possiede, seppur in minoranza, una componente razionale. L'anima razionale, che governa il pensiero e la ragione, è cruciale poiché ci consente di discernere tra ciò che è giusto e sbagliato, di pianificare a lungo termine e di prendere decisioni moralmente sagge. Senza di essa, saremmo guidati solo dai nostri desideri impulsivi, non avendo il minimo controllo sulle nostre emozioni e sull'agire.
È fondamentale perché ci rende muniti di autocontrollo.
L'autocontrollo si manifesta quando la parte razionale, guidata dalla ragione, domina e governa gli istinti e i desideri residenti nella parte inferiore dell'anima.
Non tutti riescono a far prevalere la terza parte, poiché come già precisato in precedenza, non è una tripartizione equa.
Varia da uomo a uomo.
E da quel giorno io divenni un uomo razionale.
Questo non implica il fatto che la mia vita sia priva di esperienze che coinvolgono il desiderio, ma ho sempre avuto la destrezza di non far prendere il sopravvento all'eros.
Neppure quando ero sposato con Emily.
La ragione, la razionalità, i miei obiettivi, ma soprattutto i miei ideali, hanno sempre avuto la precedenza a tutto.
Ma quella ragazzina ieri rischiava di farmi oltrepassare dei limiti che solo la parte più profonda del mio intelletto conosce.
È così ingenua ma allo stesso tempo è una provocatrice di prima categoria.
Se solo lei avesse potuto vedere come quelle parole le fuoriuscivano da quella labbra carnose in maniera disinvolta mentre mi proponeva di inginocchiarsi...
Ironicamente, questo è certo.
L'ironia è una virtù che posso comprendere io, ma non sicuramente il mio amichetto laggiù, che senza esitazione, alla visione proiettata dalla mia mente di quel corpicino esile inginocchiato tra le mie gambe, aveva deciso di risvegliarsi.
Stracolma di furbizia e di intuito, tra le mille qualità che ancora devo individuare, percepiva il mio disagio.
Disagio dovuto alla paura di essere travolti da una tensione che ha la maestria di trascinarti come un uragano.
Lo avevo capito dai suoi occhi, che mi guardavano lussuriosi mentre la tenevo salda per il braccio, che averla intorno non poteva essere un'opzione plausibile.
Non sarei riuscito a controllarmi per così tanto tempo.
Mai sono stato geloso di qualcuno.
Le donne sono sempre state una valvola di sfogo, mai qualcosa da ritenere strettamente mio.
E forse non era nemmeno gelosia quella che provavo nel vedere la mano di Logan costantemente tenuta poco più sopra dal suo fondoschiena.
Ma provavo fastidio.
Forse dovrei dare una definizione al mio concetto di fastidio, dato che non è propriamente quella comune.
Per me provare fastidio nei confronti di una persona equivale ad avere il desiderio di annientarla, di umiliarla e occasionalmente, se da parte di quest'ultima non ci fossero stati segni di pentimento delle azioni che hanno scatenato in me quelle sensazioni, si sarebbe aggiunto il desiderio di vederla soffrire.
Non ero geloso, ero solo infastidito.
Per tutta la serata, non ho fatto altro che seguirli.
Sentire il suono della risata fragorosa di Delia alle stupide battute di Logan era paragonabile ad un supplizio silenzioso.
Lui che le mostrava le sue conoscenze e lei che ne rimaneva così esterrefatta. Lo guardava con attenzione, con stupore.
Logan era estremamente bravo ad ammaliare una donna, ma le sue doti non potevano essere minimamente paragonate alle mie.
Se solo avessi voluto, avrei fatto ricordare a Delia di quanto la lussuria le illuminava lo sguardo poco prima.
Di quanto la sua voce, simile ad una dolce melodia, la ingannava, lasciando trasparire l'eccitazione che le divampava dentro.
Se la mia anima concupiscibile avesse preso il sopravvento, e Logan non fosse irrotto nella stanza, l'avrei fatta pentire di quella proposta -non volutamente- indecente.
Avrei soddisfatto le sue fantasie, lasciando che i nostri non fossero soltanto pensieri coordinati, ma momenti che sarebbero stati impressi nella nostra memoria in eterno.
Se solo avessi voluto, Delia, non ti avrei mai permesso di lasciarmi il tuo numero su un misero fazzoletto di carta.
Se fossi stato Logan, ti avrei cercata fino in capo al mondo, sorprendendoti nel migliore dei modi, e non avrei mai approfittato della tua gentilezza solo per godermi della vista del tuo culo, quasi scoperto, mentre ti appoggiavi a quella parete.
Non era una sensazione nuova, ma era la prima volta che la provassi nei confronti di una donna.
Anzi, di una ragazzina.
Nessuna delle persone incontrate nella mia vita emana la sua stessa energia.
Non mi pento di averla costretta a salire nella mia limousine.
Vederla camminare sola, con un vestito striminzito che a malapena le copriva l'intimo, scatenava in me un dovere di protezione.
Poteva essere mia figlia, cazzo.
Come avrei potuto lasciarla lì, completamente isolata, nel bel mezzo della notte?
E se le fosse successo qualcosa?
Di incubi ne avevo fin troppi.
D'altro canto non mi costava nulla offrirle un semplice passaggio.
Ma come al solito doveva rendere tutto difficile con la sua testardaggine, ancora ferita dalle parole che le avevo riservato poco prima.
Come se davvero fosse stata costretta...
Come se dai suoi occhi non straripassero fiumi di libidine ogni qualvolta che incrociava il mio sguardo.
Voleva dimostrare a sé stessa di aver ragione, cercando di affossare il mio ego.
Credeva non l'avessi capito, ma lei non mi conosce abbastanza, fortunatamente. Non sa come io riesca a captare qualsiasi pensiero da ogni impercettibile gesto e da ogni parola.
Averla in macchina è stato come avere una bomba ad orologeria accanto.
Anche se quello ad esplodere da un momento all'altro poteva essere proprio il mio autocontrollo.
La patta dei miei pantaloni si faceva sempre più stretta e le mie parti intime si indolenzivano con l'aumentare dei secondi alla vista delle sue gambe nude distese al mio fianco.
Era così vicina che la punta dei suoi piedi quasi sfiorava il mio quadricipite contratto.
La funzione razionale della mia anima era allo stremo, quasi si sentiva torturata dalla bramosia di possederla con una sola occhiata.
Evitavo di guardarla o anche essenzialmente di proferire parola.
Ma alla vista dei suoi capezzoli turgidi, ben visibili proprio come due punti neri su una tela bianca, accompagnata dall'eccitazione che le disegnava il volto, avevo perso il controllo.
Lo champagne colava sulla sua pelle nuda bagnando completamente sia me che lei.
Avrei potuto afferrarla lì, farla sedere a cavalcioni su di me, e con una mossa repentina strapparle quelle mutandine invisibili che indossava.
Avrei potuto sfiorare il suo interno coscia, per poi scoprire quanto fosse bagnata per via degli umori che già le colavano lungo la carne calda tempestata da brividi.
Schifosamente fradicia, avrei potuto penetrarla facilmente con un solo colpo, nonostante le mie dimensioni inconsuete, beandomi dei suoi gemiti vogliosi mischiati alle lacrime di dolore.
Oppure l'avrei potuta portare allo sfinimento torturandole il clitoride con la punta della mia lingua e con i miei denti taglienti, riempiendole le pareti strette con le mie dita.
Avrei potuto farla venire così tante volte fino a quando il nome di Logan non sarebbe diventato solo un ricordo lontano e futile, tanto da lasciarla fuori al portico di casa sua con le gambe tremolanti, incapace di compiere qualche passo in più.
Ma mi ero limitato a mettere fine a quel teatrino, sfilandole con forza la bottiglia tra le sue gambe.
Le sue labbra dischiuse, disposte probabilmente ad accogliermi qualora volessi, e i suoi occhi da cerbiatta, risvegliavano quell'io animale che, una volta stuzzicato, sarebbe stato difficile da soddisfare.
Lei non ne era consapevole, ma il suo corpo richiamava la mia attenzione.
La schiena inarcata, le gambe che, già incrociate di loro, si stringevano man mano per contenere l'eccitazione che faceva pulsare il suo centro.
Aveva tutte le carte in regola per farmi impazzire quella notte, ma per sua sfortuna sono un giocatore impeccabile.
Scossa dalle mie parole, era poi rimasta in silenzio fino alla fine del tragitto.
La delusione sul suo volto al ritorno della mia formalità era ben evidente.
Era necessario.
Qualsiasi cosa stesse nascendo tra di noi, doveva morire. Nessun secondo colloquio, nessun posto di lavoro.
Io e Delia Foster non ci saremmo mai più incontrati.
Un rumore mi distrae dal pendolo di Newton che ha accompagnato finora i miei pensieri.
È la mia segretaria, Cassie, che aspetta il mio consenso per varcare la soglia del mio ufficio.
La porta è già aperta, ma ha bussato egualmente perché, come lei già ben sa, esigo l'ordine, la disciplina e il rispetto nei miei confronti.
«Entra pure, Cassie.»
Tremolante, muove i tacchi nella stanza e si siede sulle poltroncine poste in fondo alla stanza. Prende un lungo sospiro e porta i suoi capelli biondi dietro le orecchie, portando poi le mani in grembo.
«Signor Harris purtroppo devo darle una brutta notizia», inizia a parlare, tormentando le sue unghie con le dita.
Faccio un cenno col capo e aggrotto le sopracciglia, preoccupato dei suoi atteggiamenti.
«Due giorni fa il mio compagno ha ricevuto una proposta di lavoro molto importante», mi guarda, timorosa di continuare.
«Arriva al dunque. Non ho il tempo di assistere ad un tuo inutile attacco di panico.»
«Deve trasferirsi all'estero. Ed io devo seguirlo. Lui ha già trovato un lavoretto per me ed io non ho a-altra s-scelta», balbetta.
«Quando», più che una domanda suona come un rimprovero.
«Tra qualche settimana, i-io non s-»
«Tra quante settimane, Cassie!» Alzo il tono di voce, dando un leggero colpo al vetro della scrivania.
«Tra due settimane, Signor Harris. Io l'ho saputo solo pochi giorni fa giuro io-», prova a giustificarsi ma la interrompo prima di dare inizio alle sue noiose lagne.
«Troverò un sostituto, Cassie, non sei l'unica al mondo capace di svolgere questo lavoro. I tempi sono stretti, ma nulla di impossibile. Sappi che le porte delle Harris Industries resteranno sempre chiuse per te. Quando lui ti lascerà in lacrime in una città che a malapena conosci, non tornare. Non vorrei sottoporti ad un'ulteriore doccia di umiliazione», sputo duro.
Due settimane sono troppo poche.
Sono preoccupato? Si.
Ma mai le offrirò la visione della mia agitazione.
Non è un lavoro semplice gestire i miei impegni e tutti gli incontri, sia virtuali che non, con le centinaia di aziende sparse in tutto il mondo.
Sarà difficile trovare una ragazza o un ragazzo in grado di apprendere tutto in un arco di tempo così ristretto.
Dai suoi occhi lucidi quasi sembrano uscire delle lacrime, ma abbassa il capo per poi aggiungere: «Le prometto che riuscirò a mostrare tutto ad un nuovo candidato, non riscontrerà nessun tipo di problema. Sono stati anni piacevoli e aiutarla sarebbe davvero-»
«Il minimo. È davvero il minimo ciò che hai appena proposto. Pensavo fosse sottinteso. Ora puoi andare, Cassie», la liquido in un modo brusco, senza importarmi di aver ferito o meno i suoi sentimenti.
E quando finalmente la sua chioma dorata lascia la stanza mi affretto ad inviare un messaggio all'unica persona che potrebbe risolvere questo enorme disastro.
Ho bisogno del tuo aiuto.
Cassie tra due settimane andrà via.
Mi serve una nuova segretaria.
Competente, ma soprattutto
permanente.
Come se mi stesse aspettando, dopo pochi secondi mi arriva già un suo messaggio.
Erik
sono al solito bar, cinque minuti
e sono lì!
È sempre stato un cliente abituale, ma ultimamente sembra fargli visita sempre più spesso.
Sono preoccupato per lui.
Sono terrorizzato.
Io non voglio che mio fratello tocchi il fondo, e spero vivamente che le mie, siano solo paranoie.
Puntuale, entra nel mio ufficio a distanza di pochi minuti. E a dare conferma alle mie presupposizioni, è il suo aspetto leggermente trasandato e i suoi occhi rossicci.
«Buon pomeriggio fratellone!»
«Smettila di fare il coglione che abbiamo del lavoro da svolgere.»
Si avvicina alla scrivania e fa per sedersi, ma lo sento ridere. Lo guardo perplesso, provando a capire cosa lo facesse divertire.
«Ho saputo da poco che questa sedia non è più solo riservata a me, vero?»
Che figlio di puttana. Lui, e anche quella stupida mocciosa.
Lo trucido con lo sguardo, facendogli intendere che non ho la minima intenzione di dargli una spiegazione, e lui, in risposta, si siede mantenendo ancora il sorriso sulle labbra.
«Allora, come mai Cassie ti ha lasciato?» Aggiunge divertito.
«Riesci ad essere serio per un secondo?» Gli chiedo, sperando sia la volta buona che la smetta. «Il fidanzato ha ricevuto una proposta di lavoro all'estero e lei ha deciso di seguirlo. Mi sembra assurdo.»
«Assurdo? E secondo te doveva rinunciare all'amore solo per continuare a lavorare nelle cosiddette maestose Harris Industries?» Mima le virgolette con tono ironico alle ultime due parole.
«L'amore finisce. Il lavoro mai, i soldi mai, se ne sei capace.»
«Oh fratellone», compie un mezzo giro sulla sedia girevole «vedrai che prima o poi arriverà qualcuno che ti farà cambiare idea.»
«Non ne sarei così sicuro.»
È impossibile che io un giorno possa mai preferire un sentimento così subdolo e momentaneo come l'amore, a ciò per cui lavoro duramente da anni.
«Meglio cambiare discorso», sussurra in una risatina. «Come hai intenzione di procedere?»
«Mettere un annuncio ora comporterebbe solo ad un rimando continuo di giorni per le selezioni e per i colloqui. Hai ancora la lista di tutti i ragazzi dello stage?» Chiesi retoricamente, sicuro che l'avesse ancora con sé.
Lo vidi prendere il suo cellulare e digitare qualcosa velocemente.
«Credo di aver trovato la soluzione perfetta per noi. O meglio, per te.»
Di già?
Lo guardo confuso, aspettando che continui, ma ricevo in cambio solo sorrisi maliziosi che nascondono il vero fulcro dei suoi pensieri.
«Diamine Erik, sputa il rospo!»
«E va bene, volevo creare un attimo di suspense... Ma oggi non sei dell'umore giusto, ho capito», la sua voce sembra quasi essere delusa, ma so benissimo di non averlo offeso.
«Io non sono mai dell'umore giusto, Erik.»
«Vedremo se le cose a breve cambieranno o meno», canzona come un adolescente.
«Erik, per favore», lo incito ormai esasperato, chiudendo gli occhi per cercare di mantenere la calma.
«Delia Foster sarà qui tra», controlla il suo orologio digitale «un'ora! Non ne sei felice?»
Il suo sorriso smagliante è l'unica cosa che mi frena dal dargli un pugno dritto in faccia.
«Di cosa dovrei essere felice esattamente? Ieri notte le ho inviato un e-mail dove le comunico l'esito negativo del colloquio! Ma cosa ti salta in mente? È questo il tuo compito: quello di gestire i dipendenti! Allora perché non riesci a svolgerlo con un briciolo di serietà?» Stringo le mani in due pugni alzando il tono di voce.
Erik è l'unico a cui non importano i miei modi, quindi con totale tranquillità mi guarda, aspettando che io mi calmi.
«Sono serio, non abbiamo tempo di fare altre selezioni e lei è perfetta! Cazzo, ragionaci Alex! Hai mai visto una ragazzina di diciannove anni affrontarti in quel modo?Ricorda che è lei che dovrà avere a che fare con tutti quegli scorbutici che tu definisci 'tuoi colleghi'. È sfacciata, sembra che nulla le faccia paura e sono sicuro che abbia più palle di me e te messi assieme!»
Lui non sa che io ne sono perfettamente consapevole.
Non sa che sono profondamente spaventato.
Spaventato da me stesso.
E se non riuscissi a controllarmi? Cosa penserebbero le persone di me? Un uomo di quasi quarant'anni che non riesce a resistere a delle stupide provocazioni di una dannata ragazzina!
«Ti fidi di me, Alex?» Alla mia assenza di risposta, Erik mi porge un'altra domanda.
Come potrei non fidarmi di lui...
Lui è l'unica fetta della grande torta della mia vita di cui ne vado fiero.
«Erik, certo che mi fido ma non credo che-»
«Allora nulla! Fidati e basta. Lei è perfetta per il ruolo. Poi è un periodo di prova, giusto? Puoi sempre cambiare idea se la trovi così pessima...» Questa volta ad interrompermi è lui, lasciandomi senza parole.
«Anche se devo ammettere che sono curioso», aggiunge sottovoce, grattandosi la fronte e abbassando il capo per nascondersi.
Ogni giorno diventa sempre di più una testa di cazzo.
«Curioso di cosa, Erik?»
«Lei ti attrae, Alex? Non mentirmi», ignora la mia domanda.
Come non potrebbe...
«È un dettaglio irrilevante.»
«Rispondimi.»
«È attraente. Si, me la scoperei, se solo non potessi essere suo padre! Non ha nulla di speciale, è solo un bel corpo, Erik. Ce ne sono a migliaia, e non riesco a comprendere il tuo accanimento.»
«Okay, sarò pazzo io allora», sbuffa, portandosi una mano alla tempia con una smorfia di dolore.
«Tutto bene?»
«Si, è solo un mal di testa.»
«È solo un 'mal di testa' o devo preoccuparmi, Erik?»
Nessuna risposta, continua a tenere gli occhi puntati verso il basso.
«Sono le tre del pomeriggio ed hai già bevuto, che sta succedendo Erik? Hai litigato con Zoe? È da tanto che non vi vedo insieme.»
«Non parlarmi di lei.»
Le sue parole mi spiazzano.
Sospettavo ci fosse lo zampino di mio padre nella loro relazione, ma Erik non me ne hai mai parlato male.
«Erik, sai che puoi sempre parlarmene, vero?» Lo rassicuro, cercando un contatto visivo inclinando la testa.
«Lo so, non preoccupartene ora, è tutto okay», alza lo sguardo incatenandolo col mio, e mi accorgo dei suoi occhi lucidi.
Sto per aggiungere qualcosa quando mi precede. «Piuttosto preoccupati di te stesso.»
«Perché dovrei?»
«Tra poco arriva Delia, sei pronto?»
Sbuffo sonoramente mostrando il mio dissenso alle sue supposizioni.
«Hai detto che devo fidarmi di te? Bene, allora tu resterai qui e le spiegherai tutto. Io non dirò una parola.»
«Sarei restato comunque! Mi sono perso il primo colloquio ma di certo non mi lascerò scappare l'assunzione!»
Quel colloquio...
Nella mia vita mi sono ritrovato ad affrontare molte sfide, ma apparentemente ora mi aspetta la più difficile.
Quella con me stesso.
A vincere sarò logicamente sempre io, ma vincerà l'istinto o la ragione?
Delia
'Ti aspetto in azienda, ho delle novità per te.'
Il messaggio che ho ricevuto poco fa da parte di Erik mi ha distratta per il resto della lezione.
Dal momento in cui l'ho letto il mio cervello ha iniziato a formulare decine di teorie e ipotesi diverse, ignorando completamente la presenza del professore di diritto commerciale.
Ho provato a chiedergli qualche informazione in chat, ma ho ricevuto in risposta solo dei stupidi stickers.
Le parole scritte da Alexander mi erano risultate ben chiare ieri: non sono stata ammessa.
Credevo che le speranze fossero finite, che avessi esagerato troppo e addirittura per qualche istante avevo provato dei sensi di colpa.
'Per qualche istante', ovviamente.
Ieri avevo solo reagito alle sue continue provocazioni, ben diverse dalle mie, che avevano il solo scopo di farmi sentire sbagliata, invisibile.
Volevo dimostrargli quanto si sbagliasse e portare al limite la sua pazienza.
Evidentemente ci ero riuscita, ma forse avevo oltrepassato un po' troppo il limite.
Ma non è questo ciò che mi preoccupa, l'ansia dovuta al messaggio di Erik mi provoca un leggero dolore al ventre, distogliendomi dai miei pensieri.
Quando finalmente la lezione finisce, mi affretto ad uscire e ad avviarmi verso la metro per raggiungere le Harris Industries.
I minuti sembrano diventare ore, e il panico accresce in me con il passare del tempo.
Ma la vista del mastodontico edificio mi annulla per qualche secondo, seppur non sia la prima volta che lo vedo. Le enormi vetrate che decorano l'entrata e il pavimento di marmo bianco donano ai visitatori una perfetta prima impressione.
«Salve, sono la signorina Foster, ho un appuntamento con il signor Harris», dico alla ragazza dai capelli neri dietro al bancone dell'entrata.
«Buon pomeriggio signorina Foster, Il signor Alexander Harris la sta aspettando nel suo ufficio.»
Alexander Harris.
Alexander Harris.
Alexander Harris.
Il suo nome risuona nella mia testa ripetutamente, portandomi in uno stato confusionario.
«Deve esserci un errore, ho un appuntamento con il signor Erik Harris», scandisco accuratamente il suo nome, sperando si tratti solo di un malinteso.
«Nessun errore. La aspettano entrambi nel suo ufficio», mi informa con un sorriso smagliante.
Non sono spaventata è solo che... non me l'aspettavo.
Non credevo l'avrei mai più rivisto dopo la serata di ieri.
Mi armo di coraggio sospirando fortemente e spalanco la porta socchiusa del suo ufficio.
Al mio ingresso gli occhi di entrambi saettano sul mio corpo, ma a differenza dello sguardo di Erik sento quello di Alexander bruciare nel punto in cui si posano istante dopo istante.
«È arrivato l'ospite d'onore! Vieni, siediti qua», mi accoglie Erik sorridendo mentre si alza per cedermi il posto.
Ricambio il saluto con un sorriso e mi siedo sulla poltroncina di pelle. Nel mentre vedo Erik allontanarsi e prenderne una in fondo alla stanza, per poi posizionarla accanto a me e prendere posto a sua volta.
«Dovresti prenderne una in più ora, non credi sia il caso?» Lancia un'occhiolino al fratello e subito capisco a cosa si riferisce.
Le sedie riservate solo alle persone di cui sopporta la vicinanza.
Alexander deglutisce sonoramente, non dando importanza alla provocazione del fratello e prestando attenzione a quel gioco fisico di cui tutti parlano.
Insomma, quello con le palline in acciaio... Avete capito, no?
«Perché sono qui?»
«Da domani inizieranno i tuoi giorni di prova come segretaria di Alexander», mi illumina Erik.
«Come?» Chiedo retoricamente strabuzzando gli occhi. «Lui ieri nel cuore della notte mi ha detto chiaro e tondo di non aver passato le selezioni!»
«Lascialo stare, ogni tanto soffre di sbalzi d'umore», Erik scoppia in una forte risata mentre Alex lo rimprovera con lo sguardo.
«Scherzavo fratello...» Lo tranquillizza Erik per poi ritornare su di me. «Ci serve una nuova segretaria, entro due settimane, e credo che tu sia la candidata perfetta.»
«Non era previsto nello stage io non so se-»
«Sarai impeccabile Delia. Cassie, la sua segretaria, o forse dovrei dire ex segretaria», si ferma per qualche secondo come se stesse pensando qualcosa «non so come chiamarla, hai capito a chi mi riferisco?»
Faccio un cenno, curiosa di ciò che sta per dire.
«Ecco, lei ti darà delle indicazioni in queste due settimane e la affiancherai cercando di memorizzare le nozioni principali.»
«Perché credete che io sia la persona adatta? Non ho mai avuto esperienze del genere», preciso subito.
«È lui che lo crede, non io», interviene Alexander ancora con lo sguardo puntato sul suo giochino.
Le sue doppie dita che afferrano e stringono quelle piccole sfere mi incantano, seguite dalla delicatezza dei suoi movimenti.
«Non dovevi stare zitto tu?» Erik prende le mie difese, lasciandomi confusa.
Perché dovrebbe mai stare zitto?
«È un periodo di prova, ma sono sicuro che hai tutte le carte in regola per svolgere questo compito nel migliore dei modi», mi rassicura poggiando la mano sulla mia spalla.
Ritrae la mano immediatamente con un ghigno divertito sulle labbra non appena gli occhi azzurri del fratello maggiore si posano sulle sue dita.
Devo trascorrere i prossimi mesi lavorando per Alexander Harris?
Non so chi dei due farà impazzire per prima l'altro, ma non sono disposta a perdere la mia sanità mentale per il suo fottuto orgoglio.
Probabilmente la mia faccia doveva apparire sconvolta, ancora incredula dalla notizia, perché Erik schiocca le dita dinnanzi i miei occhi, costringendomi a ritornare con la mente in quella stanza opprimente.
«Ci sei? Se credi di non riuscire a far conciliare gli impegni scolastici con quelli lavorativi non è un problema, basta dirlo.»
Per me non sarebbe stato un problema.
Per chiunque altro si.
Ma la mia oramai, sembra essersi trasformata in una sfida che il destino mi ha posto dal primo giorno che ho messo piede in questa città.
E ai miei obiettivi, ora, se ne sarebbe aggiunto un altro: quella di portarla al termine.
«Accetto. Inizio da domani allora, giusto?»
I suoi occhi si gettano sui miei, lasciando trasparire una consapevolezza comune ad entrambi.
Resistere a quella tortura così dolorosa ma al contempo piacevole, sarebbe stato impossibile.
E non solo per me.
Spazio autrice
Buonasera a tutti!
Che ne pensate del capitolo?
Io vi aspetto su ig per commentare insieme il capitolo, spero vi sia piaciuto.
Risponderò anche al box del capitolo scorso, visto che tra vari impegni non ho avuto tempo di rispondere come avrei voluto.
Vi ricordo di seguirmi anche sugli altri social se vi fa piacere, e di lasciarmi una stellina nel caso il capitolo vi sia piaciuto.
Che le danze abbiano inizio...💃🏻💃🏻💃🏻
Vostra, Lyra.