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SYMPETRUM

By LiaBNoir

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"Dicono che bere assenzio col tempo fa brillare la tua ombra. รˆ un problema se devi giocare a nascondino." ๐“†ฆ... More

/ Li - bel - lu - la /
Playlist
Cast/Introduzione
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Prologo - Sympetrum
1. The emerald heart has fallen
2. Behind the clouds I saw your eyes
3. The gate is open, the ivy swings
4. I would like to call you Home, one day
5. It's time to go for me, my little girl
6. The pill goes down, down, down
7. If there is an ancient padlock, is there a key?
8. Broken kaleidoscopes and memories
9. It's a nice night to go on stage, isn't it?
10. Three keys open a door
11. In the middle of the night I found you
12. For that fire that burns in our brains
13. Dive into the abyss, hell or heaven doesn't matter.
14. So numb, I can't feel you there
15. Trace my skin, losing control
16. Blow the wind, little dragonfly
17. He smelled of melancholy and pain
18. When at night you drown in fear
20. I die on your neck, your lips are fire
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21. Stars who don't want to know about us
22. You light my fire, but you burn with me
23. The black man is not dead, he has claws like a crow
24. Where the wild roses grow
25. How water takes everything away
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26. I cursed every drop you breathed
27. The echo of that night freezes my veins
28. Let me take off the traces, I need your skin
29. What you leave doesn't go away anymore
30. Emerald flame, I burn with you
31. Crystals crying blood, you're not here
32. There's cigar smell, it's everywhere
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33. The truth whispers, the darkness fills the cracks
34. The truth has many faces, the faces have many masks
35. Silent deaths and broken souls
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36. Medusa hurts, Medusa protects
37. Take me, take yourself back
38. Lights will guide you home
39. What you don't kill, dies inside
40. There were two, they were cursed
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41. In another life, little brother
42. The moment before the staging
43. Like a fire inside a movie theatre
44. I hate you, i love you
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45. Family reunion
46. You can't drown nightmares
47. Proud mysteries and secret games
48. I see who you are, you are my enemy
49. In that labyrinth, where everything ends
Epilogo
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19. Every reflection of you resides in me

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By LiaBNoir

"Non ti accorgi,
diavolo che sei,
che tu sei bella come un angelo?"


«Perché sei triste?»

«Dicono che finirò per perdermi.»

«Perderti? Che vuoi dire?»

«Io.. non lo so. So solo che mi voglio tenere forte, per non farlo.»

«Ti aiuterò io, allora!»

«Dici davvero?»

«Certo! Tu suoni, io ti tengo.»

«Promesso?»

«Promesso.»

Conoscevo almeno duecento tipi di tortura diversa, ognuno dei quali perfettamente calibrato per portare una persona a desiderare di morire, piuttosto che esalare anche solo un altro fottuto e misero respiro.

Ecco, perché non potei fare altrimenti che darmi del grandissimo coglione, per aver fatto scontare direttamente a me, l'unica tortura che non avevo completamente considerato e a cui non ero assolutamente pronto.

Lei.
Lei in palestra.
Lei con quel dannato completo rosso elasticizzato, che le fasciava ogni singola curva di quel corpo che mi sognavo sotto la doccia, mentre me lo sbattevo talmente forte da perdere la ragione e il sopravvalutato controllo.

Cat mi aveva scritto quella stessa mattina, per avvertirmi che non avrebbe potuto esserci all'allenamento e che le sembrava davvero brutto, doverlo rimandare.

Le.
Sembrava.
Davvero.
Brutto.

Perché invece era assolutamente una botta di vita, farmi tenere il cazzo duro per la successiva ora, davanti a quella piccola peste dalla lingua lunga e dalle labbra talmente peccaminose da far perdere la ragione ed ogni fede anche ad un santo.

Gliele avrei morse a sangue.
E poi l'avrei leccato via, insieme a tutti i suoi vuoti.

Si, avevo decisamente un grosso problema con il rosso. Ed uno ancora più grande con lei.
Con quei suoi capelli biondi, gli occhi cangianti e il culo perfetto.

La sera prima staccarmi dalla sua pelle e dalle sue cosce era stata una violenza, per quel briciolo d'anima agguerrita che forse ancora risiedeva testarda in me, rinata e plasmata dalle sue labbra infantili. Quando l'unica realtà era il dolore e l'unica pace che agognavo era sotto ad un tavolo, sopra un tappeto che sorreggeva tutto il mio tormento.

Un circolo vizioso negli anni, un inconsapevole ritorno a ciò che era già stato e che non era più.
La prima scelta che non sarebbe mai stata l'ultima. Il primo istinto che fallisce, lasciando spazio all'essenza che scava voragini nel petto e nella roccia, esattamente come l'acqua, spaccando dighe e travolgendo tutto ciò che incontra, fastidiosamente, lungo il cammino. Tenace e testarda.
Il calore che scalda ma non appaga.
Il fuoco che arde e ti accende.

Un eterno cerchio, spezzato dall'incognita e reso rotto da un vuoto inspiegabile.
Quello eravamo noi.

Ero già partito da dieci minuti, diretto in centro, quando quella fenice dai capelli rossi aveva deciso di rovinarmi la giornata con quella chiamata.
Quando vidi per la prima volta Cat, tremava ad ogni passo e dai suoi occhi nocciola colava denso un dolore marcio e putrido, assorbito da anni di urla rimaste inaudite. Ma aveva una scintilla incandescente, dentro di sé, alimentata negli anni dalla rabbia e dalla paura.

Ed esattamente come quell'uccello di fuoco, aveva fatto della cenere del passato il suo personale terreno fertile, facendosi beffa delle fiamme ustionanti e uscendone incredibilmente forte.

Era praticamente una sorella, per me.
Ed esattamente come una sorella, quella mattina l'avrei strozzata.
Come avrei fatto anche con Cayden che, meschino, era partito lasciandomi quel cazzo di messaggio che mi aveva invaso la mente come un chiodo arrugginito, senza darmi tregua.
Sapeva perfettamente che l'avrei fermato.

Avrei voluto estirparmi ogni pensiero provocato dalle sue parole, pezzi di cranio conficcati e sanguinanti che urlavano una verità che non volevo permettermi di riconoscere.
E lui lo sapeva fin troppo bene.

Mi aveva lasciato solo per ritrovarmi.
Per ritrovarsi.

Infame bastardo.

Lasciandomi il peso di quella presenza asfissiante e di quello sguardo opalescente che avrei riconosciuto in mille altre vite.
Anche ad occhi chiusi.

Verdi e uniche come quelle piccole schegge di vetro levigate dalle onde, le sue pupille erano state modellate dalle lacrime salate che aveva versato in una vita che pensava non appartenerle più. L'arte del mare, lei la custodiva negli occhi.

Feci inversione e tornai indietro.
Pescai dalla tasca il pacchetto di sigarette e me ne accesi una, esorcizzando ogni pensiero con una consistente boccata di fumo nero.
Le elencai tutte, mentalmente, le possibili e stupide scuse per non andare e mandare l'allenamento a puttane.
Ma erano sempre e solo quelle fottute quattro lettere che contavano nella mia testa.

Eris.
Eris.
Eris.

Un canto malato.
Una litania profana.
Un ossimoro tossico.
Un veleno che avrei stillato avido e assettato fino all'ultima goccia, perché se avessi dovuto scegliere come morire, sarei morto trattenendo in me ogni più piccola parte di lei.
Tutte quelle che non ricordava.

Arrivai di getto in cortile, parcheggiai velocemente e uscii dalla macchina.
Intercettai Mantus venirmi incontro e ripensai al primo momento in cui lo vidi.
Avevo riconosciuto subito nei suoi occhi il peso di vecchi dolori e di gabbie disumane.
E, rispettando quel dolore, l'avevo scelto.
O forse rispettando il mio, lui aveva scelto me.

Veniva usato per combattimenti clandestini.
La potenza mascellare di ottanta chili e l'indole difensiva, lo avevano reso il perfetto esemplare su cui puntare soldi sporchi. Sorrisi perchè alla fine, c'erano finiti quei bastardi, dietro le sbarre.

Lo accarezzai, evitando la schiena.
Sapevo perfettamente quanto fresche potevano essere delle ferite cicatrizzate da tempo.
«Lauf.» corri libero.
Sempre.

Lo vidi allontanarsi e mi diressi all'entrata.
Andai direttamente in palestra, con i jeans e la camicia che avevo addosso e a passo spedito, prima di ripensarci e tornare indietro.
Scesi velocemente le scale, saltando gradini qua e là, e aprì la porta di scatto.

Lei era lì.
Seduta al centro del tappeto con le gambe incrociate e gli occhi sgranati, rannicchiata e chiaramente sorpresa di vedermi arrivare.
Sembrava esattamente una bambina, con quello sguardo sovrappensiero e preso in contropiede. Prima di ergere invece, con un singolo battito di ciglia, lo spesso muro con il quale, forse, pensava veramente di potersi nascondere da me.

Quel vecchio muro di cui eravamo stati e continuavamo ad essere gli artefici, alternando i nostri timori e posizionandoli con estrema precisione, facendogli prendere le sembianze di quelle spesse pietre di cui era composto.

Buttiamolo giù.
Un pezzo io, un pezzo tu.
Finché non arriveremo a guardarci gli occhi.
Ancora una volta.

«Che ci fai tu qui?» me lo chiese presuntuosa, incrociando le braccia al petto con quel top che non lasciava nulla all'immaginazione.

Porca puttana.

«Che ne diresti di iniziare con un "Buongiorno Blake"

«Lo era, prima di vederti.» alzò gli occhi al cielo ed io avrei voluto farglieli ruotare, con lo schiaffo punitivo che le avrei dato su quel sedere.
Mi prudevano le mani.

«Ottimo. Adesso che abbiamo appurato quanto siamo contenti l'uno della presenza dell'altra, direi di muoverci con la lezione. Prima si inizia, prima mi libererò della tua presenza.»

E dei tuoi stramaledetti occhi.

«Cosa?! Non c'è Cat?» sembrava decisamente sconvolta.

«Se ci fosse stata pensi che io mi troverei realmente qui? Spero almeno che, visto il patto in ballo, più avanti riuscirai a fare domande sensate.» la provocai.

«Divertente. Hai bevuto caffè e aceto, per caso? Oh, no. Aspetta. Tu sei così al naturale.» puntò i pugni sui fianchi, impettita e selvaggia.

Ed eccola, che tirava fuori le unghie.
Le stesse che avrei voluto sentire graffiarmi la carne, affondando dentro di lei fino a perdere ogni briciolo di ragione e pelle.

«Non mi hai ancora visto al naturale, Medusa. Te lo ricorderesti.» la stuzzicai con un occhiolino che sapevo perfettamente l'avrebbe innervosita ancora di più.

Ed eccitata.

«Devo proprio essere stata baciata dalla fortuna, allora.» imitò palesemente un finto tono di sollievo.

Che si fotta la fortuna.
Dovresti essere baciata da me.

«Questo lo vedremo una volta finita la lezione.» le risposi con un ghigno decisamente provocatorio.

«E Cat cosa prevedeva per oggi?» mi chiese arrendevole.

«I punti deboli.» alzai l'angolo delle labbra in un sorriso sfacciato e decisamente soddisfatto.

Era una cazzata, ovviamente.
L'avevo appena deciso io.
Ma l'idea di vederla bruciare era molto più allettante di un'ora di stupide proiezioni.

Mi sarei decisamente divertito.

Arrotolando le maniche della camicia che indossavo, mi avvicinai a lei e le girai intorno, posizionandomi alla sua schiena e sentendo perfettamente il suo respiro farsi impercettibilmente più pesante.

«Ok. Quali sono?» mi chiese frettolosa.
Notai il movimento della sua gola, quando mando giù il nodo che cercava di mascherare.

Ma io volevo vederla fremere.
Tremare.
Cedere.
Avvicinai la mia bocca per parlarle all'orecchio, sfiorandole la pelle sensibile con il mio respiro e cadendo io stesso vittima del suo profumo.

Quel Vento del Sud che avrei sentito per tutta la vita.

«Pensi seriamente che ti farei una lista? Te li mostrerò. Ce ne sono diversi comuni a tutti ed altri che appartengono al singolo soggetto. Lo scopriremo, il tuo.»

Cercò di voltarsi con il viso per guardarmi ma, prima che potesse farlo, le presi il mento tra le dita, bloccandola.

Schioccai la lingua.
«Non ti muovere. Resta così.»

«Abbiamo solo un'ora, lo sai, vero?» sbuffò impaziente, spostando il peso da una gamba all'altra. Era irrequieta.

Stava parlando per non pensare.
Stava parlando per non sentire.

«Avrò tutto il tempo che voglio, peste impertinente.» tagliai netto e lei, incredibilmente, non replicò.

Mi riavvicinai al suo orecchio per sussurrare ancora. «Chiudi gli occhi, adesso.»

Portai una mano davanti al suo viso, disegnando due linee immaginarie con il pollice e l'indice, che partirono dalle sue sopracciglia fino a percorrerle le tremanti palpebre chiuse.
«Gli occhi. Un colpo può provocarne la lacrimazione e l'offuscamento, disorientando il nemico e rendendolo spaesato per qualche secondo. Ma se ben assestato, può causare addirittura la perdita della vista.» iniziai a spiegarle.

Lei restò in silenzio.
Perfettamente immobile.

Proseguì il percorso sfiorandole con il dito la curva del naso, pizzicandole la punta che sentii arricciare come una bambina.
Le avrei morso anche quello.
E poi baciato.

«Il naso. Un colpo violento potrebbe provocare la penetrazione dell'osso e creare un trauma cerebrale. Non proprio una passeggiata di salute, per chi lo riceve.» continuai.

Le accarezzai le labbra con il pollice, le sentii schiudersi affannate e fui io, ad ammazzarmi da solo un battito cardiaco.
«Mirare e centrare la bocca, potrebbe causare la perdita dei sensi, oltre che qualche dente.»

Posai poi le mani sulle sue spalle, scendendo giù in una carezza volontariamente lenta e corroborante. Vidi perfettamente la sua pelle ricoprirsi di brividi, come colta da una folata di improvviso vento freddo.
«Le spalle sono soggette a slogamenti e lussazioni particolarmente dolorose.»

La punta del mio naso le carezzò la nuca e la sentii ancora rabbrividire, tesa di fronte a me.
«Questa zona qui è particolarmente sensibile, soprattutto se colpita con il taglio della mano.»

Stava andando a fuoco.
Percepivo perfettamente il calore della sua pelle, l'irrequietezza dalla sua postura e la tensione che cercava invano di mascherare.

La stessa che sentivo io attraverso i jeans improvvisamente stretti, che schermavano un'erezione dolorosa alla vista di quel sedere perfettamente tondo che si ritrovava, pericolosamente vicino a me.
Lo immaginai completamente esposto e nudo sotto di me, con l'impronta della mia mano a marchiare quella pelle bianca come la luna.

«Blake?» fu un sussurro.

Cristo.
Mi ero decisamente distratto.

Schiarii la voce.
«Si.»

Le portai delicatamente una mano al collo, seguendo con il pollice il suo profilo e tracciando lento la linea della spina dorsale.
Lo spessore del dito era ormai l'unico spazio che ancora divideva i nostri corpi.
«Il collo. Lo sai bene, ti toglie il respiro. La colonna vertebrale. Ti paralizza.»

Mi inclinai e tracciai un percorso che fu una colata di lava che sinuosa mi scottava la mano, eccitandomi come solo un calore ustionante riusciva fare.
Partii dalla sua caviglia, passando per lo stinco, creando un cerchio sul ginocchio e risalendo su da quel fianco su cui avrei potuto perdere del tutto la ragione.
«Colpisci le caviglie, le gambe e le ginocchia e farai perdere l'equilibrio, guadagnando tempo prezioso.»

Le presi la mano che teneva aperta lungo i fianchi, circondandola con la mia.
Ed era così piccola.
«Le mani. Una distorsione o una frattura alle dita, può far perdere la presa.» continuai.

Mi avvicinai ancora e il mio corpo aderì completamente al suo, le sue scapole toccavano il mio petto e il suo sedere baciava sfacciato il cavallo rigonfio dei miei pantaloni.
Il silenzio di quella fottuta palestra era spezzato solo dai nostri respiri affannati ed io decisi di mandare tutto a puttane nell'attimo in cui la sua testa si appoggiò alla mia spalla, in un riflesso incondizionato ed improvviso che mi tolse il fiato. Le sue guance era rosse, le sue labbra schiuse.

Le guidai, da grande bastardo quale ero, la mano a coppa sul monte di Venere. Avvicinai le labbra sfiorandole la carne del lobo.
«Ed infine qui.» sussurrai.

La mossi distrattamente, aumentando piano la presa con una lenta carezza guidata.
La sentii fremere e cercare impercettibilmente sollievo, a quel fuoco che ero perfettamente conscio di averle acceso tra le gambe, contro di me.

Aumentai la pressione e la sentii gemere, spingersi contro la propria mano guidata dalla mia e un mezzo sorriso segnò le mie labbra.
Il tessuto di quel leggins del demonio era talmente fino che quasi riuscii a sentire quanto fosse bagnata anche attraverso la sua mano.

Cristo.
Avrei voluto leccarle via anche il più piccolo briciolo di autocontrollo a cui ancora si appigliava.

Me la portai ancora più vicino, come se ci fosse altro spazio libero, come se potessi fonderla a me.
Iniziai a farle muovere la mano, in onde sempre più pressanti e spasmodiche, contro quel centro che sentivo andare a fuoco anche coperto dal tessuto, mentre lei oscillava i fianchi venendosi incontro, sempre più disinvolta, sempre più impudica.

Sfacciata e bellissima.

Il movimento del suo sedere contro il cazzo mi stava facendo vedere l'intera volta celeste e montare una pioggia viscosa di desiderio, la stessa con cui le avrei impregnato volentieri l'intero corpo e con cui, se continuava così, avrei sporcato i boxer esattamente come un fottuto ragazzino alle prime armi.

«Blake..»
Si fece sfuggire quel sottile gemito, e il mio nome tra le sue labbra suonò come la preghiera più perversa che io avessi mai sentito.

«Dimmi, piccola peste, esattamente qual è la mano che stai cavalcando? La tua o la mia?»
Le morsi l'orecchio, possessivo e famelico.

«Non sarà mai la tua.» rispose in un sussurro.

Pestifera e impertinente.

E stava arrivando al limite, e avrei potuto farla venire in tre secondi netti, se solo avessi voluto.
Ma la verità era che ero geloso anche della sua stessa mano che la stava toccando. Di ogni fottuto spiraglio d'aria che le baciava la pelle.

Avevo percepito perfettamente quel confine cedere, contro quella parete al Poison.
Tutti i se e tutti i ma, creati e modellati dalle nostre menti, se ne stavano sopra le nostre teste come spade di Democle pronte a colpire.
Ma noi bramavano, quel rischio.
Lo rincorrevamo come animali selvatici che giocano ad azzannarsi, in una foresta nera quanto i pensieri che ci macchiavano dolorosi la mente e l'inconscio.

E lui lo sapeva perfettamente, che avremmo ceduto a quell'antico richiamo.
Come un compasso rotto che percorre un sentiero di grafite già battuto.
È così, che un cerchio ritorna a tracciare se stesso, ancora una volta.

Mi staccai dal suo corpo e dalla sua mano improvvisamente, come un perfetto figlio di puttana, per interrompere di netto quel flusso.
E lei, di tutta risposta, girandosi e prendendomi in contropiede, mi tirò una ginocchiata diretta alle palle, che non riuscii a schivare del tutto.

«Cazzo!» imprecai a denti stretti, chinandomi per assorbire il dolore.

«Esatto. Non era un punto debole? Ho sbagliato, per caso?» mi chiese incrociando le braccia al petto.

Riuscivo a scorgere perfettamente, la maschera che indossava. Provocatrice e vittoriosa, ma con il fiato corto, la frustrazione negli occhi e le guance in fiamme. Ad un passo da un orgasmo.

Mi ritirai su e mi avvicinai a lei, minaccioso.
Il mio naso sfiorava il suo.
«Tu sei completamente pazza!»

E dannatamente perfetta.

«Oh, ti fa male? Bene. Adesso, visto che ho colpito - perfettamente, direi - un punto debole, possiamo considerarlo un primo passo avanti. Voglio una risposta.»

Mi uscii una risata.
Mi tirai i capelli all'indietro e dovetti ammettere a me stesso che era stata brava ed io, al contrario, un perfetto coglione in preda agli ormoni.
Mi allontanai da lei, in un chiaro tentativo di ristabilire un'illusoria distanza ormai in frantumi.

Andai verso il frigo, lo aprii nervoso e presi due bottigliette d'acqua. Gliene lanciai una che prese al volo. «Non mi hai colpito completamente. Un errore del genere potrebbe costarti la vita. Posso concederti una mezza risposta, però.»

La vidi aprire l'acqua e prenderne un sorso, senza smettere di fulminarmi con lo sguardo e rimanendo impettita, ed io mi incantai ad osservare il movimento sinuoso della sua gola.
Poco dopo, la rassegnazione prese spazio nei suoi occhi.

«Ok, mi sta bene. Per ora.» rispose determinata.

Alzai un sopracciglio e la fissai negli occhi, intimandola a chiedere quello che voleva sapere.

«Mio padre. Voglio sapere perché è stato ucciso.» disse categorica e decisa, ma un velo di dolore trapassò lo stesso, da quel muro che tanto era solita ergere davanti a sé stessa.

Sospirai e incrociai le braccia al petto.
«I nostri genitori si conoscono dai tempi del college. Hanno studiato qui, alla Emerald. Tutti loro.»

«Si, Richard mi ha detto del rapporto particolare che aveva con mio padre e Byron. La triskele.»

Annuii.
«Esatto. Ma ancora più forte di quel legame, per tuo padre, c'era l'amore verso Amelia. Tua madre.»

«E questo rappresentava un problema?» mi chiese perplessa.

«No. Al contrario, tutti adoravano tua madre. Li accumunava una passione innata per la geologia e la mineralogia, che li ha portati, negli anni, a viaggiare per il mondo in ogni occasione gli si presentasse davanti. Rincorrevano leggende, si infiltravano come stagisti durante scavi e ricerche archeologiche e vivevano esattamente come dei ricchi ragazzi di quell'età: come se avessero tutto il tempo del mondo.»

«Cos'è successo poi?»

Sospirai e appoggiai le spalle al muro, incrociando le braccia.
«Un giorno, mentre seguivano degli scavi sull'isola di Sumatra inseguendo, per qualche strana ragione, la leggenda del Giallo Fiorentino, trovarono qualcosa. Una pietra di una bellezza unica: un diamante rosso. Il più grande mai trovato. Una rarità. Lo chiamarono Sympetrum, perchè ricordava le striature rosse e opalescenti di quei piccoli insetti dell'equilibrio da cui tua madre era ossessionata, dalle ali magnetiche e colorate, che vibrano sopra al pelo dell'acqua guardando il proprio riflesso.»

«È da lì che nacque la Sympetrum, quindi, non è così?» chiese, chiaramente persa nei suoi ragionamenti.

Annuii.
«Si. È nata poco dopo.»

«Tutti loro ne facevano parte, quindi?»

«Stai perdendo di vista la domanda principale. Ed io non risponderò ad altro.»

Mi guardò male ma si acquietò.
«Cosa c'entra questo diamante con la sua morte?»

«Solo tuo padre conosceva il luogo esatto dove è ancora custodito. E ci sono persone che ucciderebbero, per avere tra le mani un diamante di quel valore.»

«Chi, ucciderebbe?» chiese insistente.

«Chi fa parte del lato oscuro di quel commercio, e di tanti altri legati ad esso.»

«C'entra qualc..»

«Basta cosi. Non ti dirò altro, per oggi.»

Lanciai la bottiglietta ormai vuota dentro al secchio all'angolo e mi riavvicinai a lei, rimasta immobile e persa tra i pensieri che le vedevo oscillare appesi sopra i suoi capelli.

«Vorrei allenarmi con te, qualche volta.» confessò in un sussurro.

Cercai all'interno del suo sguardo una qualsiasi motivazione a quella richiesta. E la trovai in quel luccichio sbarazzino, impigliato tra quelle ciglia chiare. Pensava di riuscire a estorcermi più facilmente informazioni.

«Scordatelo.» risposi di netto.

«Perché no?» mi chiese polemica.

«Ho di meglio da fare che allenare una ragazzina alle prime armi.» tagliai corto.

«Eppure sei venuto lo stesso, oggi.» sottolineò, furba e presuntuosa.

Già.

«Un caso isolato.» tagliai corto.

«Due o tre volte. Non di più.» insistette.

Era una volpe, quella ragazza.
Fragile come cristallo, bella come ogni suo gioco di luce al sole, e scaltra come quel selvaggio animale dal manto rosso.

Feci finta di pensarci più del dovuto.
«A tempo perso, quando ne avrò voglia. Solo due volte.»

«In effetti due sono perfette, hai ragione. Non riuscirei a sopportare oltre, la tua presenza.»
rispose sfacciata.

Orgogliosa e tenace.

Mi avvicinai a lei, arrivandole ad un soffio dalle labbra, da perfetto masochista quale ero.
«Attenta Medusa, a ciò che dici. Queste parole potresti rimpiangerle come quell'orgasmo.»

Ripresi del tutto il controllo del mio corpo sotto al getto bollente della doccia.
I suoi occhi cangianti continuavano a trapassarmi il cranio attraverso i pensieri, mentre l'immagine di quella bocca insolente stretta intorno al cazzo mi mandava in estasi.
Il ricordo della sua eccitazione, del frenetico bisogno di rincorrere il piacere attraverso il mio palmo schermato dal suo, mi scaricavano brividi che miravano dritti alle palle.

Appoggiai il palmo alle piastrelle nere del muro e con l'altra mano strinsi l'erezione che continuava a non darmi tregua, dolorosa come la mancanza del suo corpo attaccato al mio.
Presi a sbattermi la lunghezza senza alcuna delicatezza, perchè era esattamente questo di cui avevo bisogno. Ed era esattamente questo, il mondo in cui l'avrei fatta mia.

Il suo seno, piccolo ed eccitato, le cui punte si intravedevano dal top del colore di una fiamma viva. La mia eterna debolezza e perversione.
I suoi ansimi impercettibili.
Il calore delle sue cosce dove i miei affondi non le avrebbero dato pace, spezzandola e ricomponendola per me e solo per me.

Lasciai andare tutto quel fottuto desiderio che bruciava vivo nei polmoni e venni, battendo il pugno contro la parete mentre il mio liquido schizzava denso e copioso, lavato via dall'acqua.
Ma non fu lo stesso, per il mio tormento.

Il telefono prese a suonare nell'esatto momento in cui uscì dalla doccia, spezzando di netto la breve e sottile tregua dei nervi che ero riuscito con fatica a raggiungere.

Mi avvolsi l'asciugamano attorno ai fianchi e andai a recuperarlo. Sullo schermo trovai la foto di Noah con un Boa fucsia attorno al collo e una canna in bocca.

«Dimmi.» risposi senza troppi giri di parole.

«Buongiorno anche a te, fiorellino di campo!»

Alzai gli occhi al cielo.
«Fiorellino di campo, sul serio Noah?»

Mi avvicinai alla finestra con il telefono tra le mani, guardando verso il giardino, dove vidi mio fratello ridere con William.

«Beh, anche un pisciacane lo è, d'altronde.»

Immaginai la sua faccia da scemo e mi uscii una risata. «Sei un coglione. Adesso dimmi cosa vuoi.»

A quel punto tornò serio.
«L'uomo che stiamo cercando potrebbe essere al Vernissage organizzato al The old hall Hotel. Ho già recuperato un invito. Prego

«Cazzo. Un Vernissage? Davvero?» in altre circostanze, mi sarei tagliato le palle, pur di non andarci.

«È un pò particolare.. in realtà. Sicuramente in linea con il profilo di quell'uomo e della Sacra Sintal. È esclusivo ed in maschera, ovviamente. È l'inaugurazione di una linea di gioielli e profumi, quei profumi.»

Ora si, che si spiegava quella scelta discutibile.

«Ok. Quando?» chiesi diretto.

«Domani sera, alle undici.»

«Bene. Passo a prenderti alle dieci.» tagliai corto.

Chiusi la chiamata e appoggiai il telefono sulla fronte, iniziando a ragionare.

Il The old hall Hotel era un covo di pezzi grossi, incravattati e ricoperti d'oro per mascherare, inutilmente, il letame che li impregnava fino al midollo. Chiunque facesse parte di quel mondo d'élite, contenente molto più di qualche scheletro nell'armadio e denaro sporco, era perfettamente a conoscenza dell'ala segreta che nascondeva, tra gli intricati corridoi di marmo nero e pareti affrescate.

I vizi venivano mandati giù come shot, insieme a consistenti sniffate di polveri bianche e soldi, con cui pensavano di poter comprare il mondo.
Ed ogni tipo di depravazione.

Indossai la maschera nera ed entrai mostrando, come sempre, quella moneta che negli ultimi anni era diventata, fastidiosamente, il prolungamento della mia mano. L'avrei presto fatta ingoiare a quel responsabile figlio di troia.

Venni accompagnato verso un'immensa sala dalle pareti nere e dalle tende dello stesso colore, da una ragazza in un abito completamente ricoperto di cristalli rossi. Avevo letto qualcosa del loro dress code, per quella serata.
Le ragazze erano le uniche a non indossare nulla a coprirgli il volto, per permettere a quei luridi bastardi dietro alle maschere di guardarle bene, studiarle, scegliere la propria bambola di porcellana per portarsela in camera.
Come un perfetto oggetto da collezione, in mezzo ad una vita fatta di teche e squallori.

Non ero mai stato un bugiardo e un ipocrita.
Io stesso, negli anni, avevo ceduto al fascino di quelle ragazze scolpite dagli angeli. Ma in modo completamente diverso. L'unico che avrebbe mai dovuto esistere, dannazione.

Libero.
Consenziente.

Mi guardai intorno, studiando con lo sguardo quella sala arredata con piedistalli e tavoli di vetro, in cui erano esposti i gioielli più belli, minuziosamente progettati a mano e contenenti le pietre più particolari e rare al mondo.
Accanto ad ognuno di essi, una boccetta di profumo.

Era un gioco di sensi e ricchezza.

Feci un giro per quella sala fingendomi interessato, cosa che non ero più da molto tempo, in realtà. Guardai distrattamente l'orologio al mio polso, gemello di quello di Cayden, se non fosse stato per il dettaglio della pietra centrale incastonata. Dove lui aveva un'ematite, la pietra di sangue, io avevo un'ossidiana.
Un fiero e orgoglioso regalo disegnato personalmente da Richard.

L'uomo di cui avevo bisogno doveva essere già lì, o sarebbe arrivato a breve.
Nell'attesa il tessuto della maschera continuava ad infastidirmi quasi quanto gli occhi che intravedevo circondarmi.
La voce di Noah mi arrivò all'orecchio, esponendo i miei pensieri ad alta voce, mentre osservavo quello che doveva essere il Sunrise Ruby, un rubino proveniente dalla Birmania da 25,59 carati.

«Blake, dovrebbe essere già arrivato.»

Tossii nel pugno mascherando la mia risposta.
«Sarebbe molto più facile se conoscessi anche solo il colore dei suoi occhi.»

«Lo so, non è propriamente facile in quel contesto lì. Ma prova. Qualsiasi sospetto o dettaglio. Ormai è rimasto lui, lo sai.»

Mi aggirai tra i mille volti ricoperti da velluto nero, tutti perfettamente uguali e spezzati solo dai visi delle ragazze, che si aggiravano sinuose tra uno smoking e l'altro. Intercettai discorsi, frammenti di discussioni e dialoghi al cui centro svettavano sempre e solo tre argomenti: soldi, sesso e corruzione.

Andai verso l'angolo bar, avvicinandomi a vari clienti concentrati in conversazioni sussurrate e ordinai due dita di Whisky.
Lo mandai giù desiderando di sentire il sapore balsamico dell'assenzio.
Riposi il bicchiere sul tavolo con un colpo secco, mi girai e fu a quel punto, che li vidi.

Maledizione.

Li vidi.
Vidi i suoi occhi guardare meravigliati uno zaffiro che non sarebbe mai riuscito a brillare neanche la metà, di quanto splendeva lei. Oscillavano ad ogni suo movimento, mascherando la sua schiena nuda, quelle onde oro pallido, morbide e profumate, in cui avevo immerso le mani durante quella notte tormentata.
A vegliarle i sogni ed ogni suo incubo.

Finché ci sarà la luna.

Il vestito che indossava le baciava i fianchi, completamente ricoperto di cristalli verde acqua. Sembrava una ninfa dispettosa uscita da un fiume incantato, in una di quelle favole del cazzo.

Dove. cristo. l'aveva. comprato.

Poi vidi loro.
Gli sguardi di quegli uomini, putridi avvoltoi che, ero sicuro, stavano già immaginando il suo sapore tra la lingua e la sua carne tra le mani.
Avrei voluto cavare gli occhi ad ognuno di loro,
fargli bere le proprie orbite come ghiaccio, in quel mare di Whisky che ingollavano avidi da bicchieri di cristallo.

Che andasse tutto a puttane.
Doveva uscire di lì.
Subito.

La voce di Noah mi arrivò allarmata all'orecchio.
«Blake, cazzo! C'è..»

«Lo so.» sbottai, avvicinandomi a lei e prendendola per un braccio, trascinandola verso un corridoio più appartato.
La sua schiena toccò la parete e ripensai alla serata al Poison, alla sensazione dei suoi respiri rotti e alla morbidezza umida che avevo sfiorato tra le sue gambe.

«Che cazzo ci fai tu qui?!» ringhiai.

«Cosa?! Io sono stata invitata. Che ci fai tu vorresti dire! Me l'hai lasciato tu?!»

«Invitata da chi?! E lasciato cosa?!»

«Quel biglietto. L'invito.»

«Io?! Perché mai avrei dovuto lasciare ad una ragazzina l'invito per un evento che è un cazzo di covo di serpenti?!»

«Non lo so, ma non ho nessuna intenzione di aspettare davvero te, per avere delle risposte! E questo è un modo per averle.» rispose imbizzarrita. «Ho bisogno della verità. Ora, appurato che non sei stato tu, lasciami andare e non intralciarmi.»

«Non intralciarti?! Devi ringraziare il cielo, tutte le fottute telecamere e gli occhi puntati ovunque in questo posto, se non ti ho ancora caricato in spalla per trascinarti fuori di qui con una pacca sul culo!» dissi tra i denti.

«Non ne hai il diritto.» ribatté stizzita.

Mi sfuggii un sorriso di scherno.
«Oh, ce l'ho eccome.»

«No. Non lo hai. E adesso o me la dici tu, la verità, o vedi di lasciarmi. Tre secondi e mi metto ad urlare.» minacciò.

Digrignai i denti.
«Non ti azzardare.»

«Tre.. due..» iniziò.

Percepii dei passi maschili avvicinarsi.

«Eris. Stai zitta.»

«Così potrai parlare tu e dirmi che è del tutto assurdo e che devo andarmene?! Potrai ripetermi ancora una volta che non mi riguarda?!»

«No! Devi stare zitta perchè sta arrivando qualcuno!» tentai inutilmente di farla ragionare.

«E dovrebbe essere un problema perchè..?»

Cocciuta ed esasperante.

«Zitta.» le ordinai.

«Devi smett..»

Non fece in tempo ad arrivare a finire la parola che le mie labbra furono sulle sue.
Ma non fu un bacio.
Gliele morsi.
Il gemito che le sfuggì me lo fece venire talmente duro da far male contro il tessuto dei pantaloni.

Il sapore del suo sangue contro le mia labbra mi accese, fonte e sostenimento per le perversioni di cui ero macchiato.

Non fui delicato. Ma forte e deciso, e quel sapore metallico e dolce si sprigionò dalle sue labbra come un proiettile appena esploso tra le nostre bocche. Mi staccai accarezzandole con il pollice il punto reciso, quei petali di carne vibravano al tocco delle mie mani, e mi ci soffermai avido con lo sguardo, prima di avvicinare la bocca al suo collo, schermandola con il mio corpo.

I passi che prima erano arrivati ovattati e in lontananza si avvicinarono sempre di più, passando oltre e chiudendosi dietro una porta poco dopo di noi.

Quando mi staccai, i suoi occhi cercarono i miei.
Era accaldata e sconvolta.
«Dammi un solo motivo per cui non dovrei mettermi ad urlare adesso.»

«Perché chiunque ti ha voluto qui desiderava metterti in un pericolo che non puoi neanche immaginare.»

«La verità ha i suoi rischi. La mia scelta l'ho già fatta.» ribattè decisa.

«Eris. Sei impreparata e totalmente sprovveduta! C'è chi è morto per la verità di cui parli e di cui non sai assolutamente nulla

«Chi, mio padre? Pensi che non ne sia del tutto consapevole? Pensi che io non sia qui proprio per questo?!»

«Non sto parlando solo di tuo padre! Sto parlando di tua madre

«Cos.. che hai detto? Mia madre è morta in un incidente! È stato un incidente! La macchina.. la macchina sbandò, prese fuoco e.. e.. c'era la neve..»

Percepivo perfettamente i suoi battiti mancanti e, in quel momento, le avrei donato tutti i miei.
Ed ogni mio respiro.

Le presi il viso tra le mani, puntando i miei occhi nei suoi. E improvvisamente non ci fu più nessuno, in quell'edificio.

C'era solo lei.

«C'era il fuoco e c'era la neve. Ma nessuna macchina. Nessuna. Non è stato un incidente, Eris.»

𖥸

Eccoci qui!

Direi che Eris qualche risposta rilevante sia riuscita ad ottenerla, a suo modo 💀

Cosa ne pensate?
Le teorie qui sbocciano come fiori,
e vi adoro per questo! 🪄

Ci vediamo al box domande su
IG: Liab.noir

A presto,
Lia 𓆦

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