抖阴社区

(Cap.12) Il CODICE

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* "Nessuno si fece avanti a parte il controllore, un Robot I.O. Avvicinò la sua mano al mio bracciale e mi disse che ero stressata." Riuscivi a distinguerli a malapena, fissandoli negli occhi che tradivano il vuoto emozionale, in quelle iridi sconvolgentemente umane.*

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Ciò che è simile attrae ciò che è simile.

Risalendo sul treno mi batteva il cuore. Avevo camminato veloce per camuffare la tensione che, nonostante il training autogeno, si era impadronita di tutto il mio corpo.

Stavo provando una forte sensazione di ribrezzo e anche di rabbia. Stavano interferendo col mio lavoro, anzi, mi era già stato dato un possibile referto finale su un mio paziente. Cercai di controllarmi ma mi sentivo peggio. Quindi feci cadere la borsa e finsi un malore.

Nessuno si fece avanti a parte il controllore, un Robot. Avvicinò la sua mano al mio bracciale e mi disse che ero stressata.

"Si è dimenticata di prendere gli integratori. Provveda stasera. Per ora rimanga seduta fino all'arrivo. Niente di grave."

Avevo appuntamento con i miei amici in centro per andare a mangiare qualcosa insieme. Passavano sempre mesi prima che riuscissimo ad incontrarci.

Annuii al Controllore Robot e voltai il viso verso il finestrino. La mia mente parlava, parlava, non la smetteva di fare congetture. Misi in atto tutte le tecniche di visualizzazione artistica, osservando le cose più brutte che mi passavano davanti: palazzoni con finestre minuscole, file di persone tristi che aspettavano i treni, i PoliRobot che stazionavano ad ogni incrocio tutti con la stessa espressione vuota.

Volevo che venissero registrate le mie emozioni in relazione a quanto stavo vedendo. Non avrei destato sospetti, pensavo. Paranoia pura.

Intanto ripensavo al contatto telepatico con Alexander e, in questo aveva ragione Paolo, a causa risponde effetto, troppe coincidenze per non essere significative.

Dopo circa mezz'ora arrivai a destinazione. Scesi ad occhi bassi e mi incamminai verso il ristorante. Mancava ancora più di un'ora all'appuntamento con i miei amici, quindi camminai nel parco lì vicino, sul selciato sfrigolante, in mezzo agli alberi.

Incrociai poche persone e cominciai ad osservare meglio i loro visi, volevo cercare di sentire i loro pensieri, le loro emozioni o vedere le immagini mentali.

Negli anni avevo lavorato molto sulle mie capacità e, dopo il tracollo mondiale, avevo avuto modo di esercitarmi in maniera continua. Scrutavo i miei genitori ma era troppo facile leggere le loro menti, li conoscevo troppo bene. Avevo quindi provato a sintonizzarmi a distanza con la telestesia, cercando un contatto qualunque ed una volta ero riuscita a raggiungere un segnale, molto confuso e che avevo inseguito per giorni. Mi arrivavano immagini incomprensibili che mi ricordavano l'arca di Noè in fuga, carica di persone e animali e, all'orizzonte, delle figure sfuocate e tutte uguali. Poi il silenzio.

Ora, mi trovavo come paziente un telepate, catalogato come critico, che avrebbe potuto crearmi non pochi problemi.

Sentivo la necessità di parlare con qualcuno ma, per la prima volta, avvertivo di essere sola, anzi peggio, avvertivo la presenza invasiva delle telecamere e del monitoraggio emozionale e perenne del bracciale. Mi avvicinai ad un fiore per annusarlo, poi alzai gli occhi al cielo. Un crepuscolo freddo stava salutando la giornata, il cielo sembrava immenso e io avrei voluto partire come un razzo tra le nuvole, libera.

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"Bene, io prendo il numero 12."

I.O - I OBSERVE YOUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora