Come era possibile? Avevamo attaccato Beehive, avevamo fatto saltare in aria l'Alveare con tutto il pungiglione, il box per le simulazioni e gli Automi. Era passato fin troppo poco tempo perché l'Alleanza avesse potuto crearne di nuovi ed estrarre altro Nettare.
– Non è possibile, abbiamo distrutto tutto quanto! – protestai, incapace di accettare la realtà dei fatti.
– Devono aver previsto un attacco. – disse Jack con tono pensieroso, grattandosi il capo – O magari gli Automi non sono mai stati custoditi nell'Alveare.
– Troppo scontato nasconderli nell'unico po-po-posto dove chiunque avrebbe potuto pensare di cer-cer-cercarli. – disse Piros, quasi a rimproverarsi per non averci pensato prima.
– Non è servito a nulla. Abbiamo attaccato la città, perso due ragazzi e sacrificato la popolazione dei quartieri poveri per nulla. – mormorai tra le labbra.
– Non caricarti del peso di una colpa che non hai. – disse Carter inginocchiandosi davanti a me, stringendomi le mani tra le sue – Abbiamo fatto il possibile. Abbiamo agito, non siamo rimasti chiusi dietro un muro di pietra ad aspettare di essere abbastanza forti da crederci invincibili.
– Noi non siamo dei codardi. – rimarcò Jack, alzandosi dalla sedia.
Mi voltai verso di lui e mi accorsi dell'anziana signora seduta al suo fianco. Nell'angoscia del momento, mi ero completamente scordata della sua presenza. Teneva gli occhi del colore dello smeraldo fissi su di me: mi studiava con attenzione. Aveva un non so che di familiare. Le sue mani raggrinzite erano poggiate l'una sopra l'altra sul circolare tavolo di baobab, le lunghe unghie smaltate di rosso picchiettavano ritmicamente sulla superficie e lo scintillio dei suoi bracciali lanciava riflessi sulle pareti della sala.
Distolsi lo sguardo, colta dalla soggezione.
– Vorrei vedere mio fratello. – dissi alzandomi in piedi.
– Non credo sia il caso, cara. Ha bisogno di riposo. – mi bloccò l'anziana signora, allungando una delle sue morbide mani verso le mie – Forse è il caso che anche vuoi due vi riposiate. Dopodiché sarò ben lieta di accompagnarti io stessa da Michael. – disse con estrema premura.
Il tono della sua voce, morbido ma fermo al tempo stesso, non lasciava spazio alle obiezioni.
Durante il tragitto che ci separava dai dormitori comuni, ai quali eravamo stati destinati, il cuore non smetteva di martellare con foga contro la cassa toracica. Troppi pensieri continuavano a vorticare veloci nella mia testa, accompagnati da quella particolare sensazione di pericolo, da quel presagio sinistro che si stava insinuando con forza.
Avevo ogni giorno perso qualcosa da quando avevo superato la Valutazione, sapevo che il momento in cui avrei potuto tirare un sospiro di sollievo era ancora ben lontano; sempre che quel momento sarebbe mai arrivato.
Ero impotente, non avrei potuto fare nulla per salvare, o anche solo tenere al sicuro, le persone che amavo. Ero un'ape operaia che seguiva deditamente il percorso che le era stato assegnato, incapace e troppo debole per riuscire ad opporsi al volere della grande regina.
Credevo che mi avrebbero potuto cedere le gambe, schiacciate dal peso di quell'atroce consapevolezza. Ma prima che questo potesse davvero accadere, ci ritrovammo nei deserti dormitori comuni arredati da decine di letti a castello, tutti perfettamente identici.
Venni all'improvviso sopraffatta da un senso di panico che non riuscivo a placare: il cuore batteva sempre più veloce, la vista si annebbiava, gli arti cominciavano a formicolare e l'aria mi sembrava tanto densa da essere irrespirabile.
Mi lasciai cadere su uno dei letti. Ansimavo disperatamente intanto che con lo sguardo cercavo qualcosa, non so bene cosa, che potesse tirarmi fuori da quegli istanti di totale irrazionalità. Il mio terrore era razionale, sia chiaro, ma la reazione non mi apparteneva. Mi sentivo un'alieno nella mia stessa pelle.
Vagai ostinatamente con lo sguardo in cerca di qualcosa che potesse strapparmi via da quello stato, quando i miei occhi incrociarono quelli di Carter che mi osservava con impassibilità.
Che gli prende? Perché non dice nulla?
– Non... non riesco... non riesco a respirare. – dissi con un filo di voce.
– Perché? – mi chiese con fermezza.
– Tutto. Tutto! – gridai.
Carter mosse qualche passo verso di me e si sedette al mio fianco.
– Mi vedi preoccupato? – domandò.
Che razza di domanda è?
– Cos...cosa?
– Mi vedi preoccupato? – ripetè con lo stesso, neutro tono di voce.
No... risposi mentalmente e nel petto mi iniziò a crescere la rabbia.
– Sai perché? – chiese, prendendomi il mento tra le dita e costringendomi a guardarlo dritto negli occhi – Perché non abbiamo tempo per essere preoccupati. Dobbiamo agire, dobbiamo tenere duro.
– Non ti seguo. – ammisi.
– Cosa credi di risolvere se ti lasci prendere dal panico?
– Non lo decido, non posso controllare ogni cosa! – sbraitai, rossa in viso.
– No, certo. – riconobbe con estrema calma – Ma puoi controllare te stessa. – disse puntellando il suo indice contro la mia tempia.
Quel gesto, forse anche insignificante, fece tornare a galla una serie infinita di ricordi, di immagini che si susseguivano fino a ripetersi: la Valutazione, l'estrazione del Pungiglione, la fuga, il rapimento degli Assaltatori, l'attacco a Beehive, gli Automi. E ancora la Valutazione, l'estrazione, la fuga, gli Assaltatori, l'attacco a Beehive e gli Automi.
Inizialmente sentii il panico crescere, fino a quando quella sensazione di totale smarrimento e impotenza si trasformò in determinazione. Vendetta, volevo sono quello: la vendetta.
Anche Carter si deve essere accorto del mutamento di stato, forse perché dipinto nelle mie pupille che si allargavano e stringevano senza tregua.
Carter accennò un sorriso, lasciando comparire le fossette: – Eccoti tornata.

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NECTAR
AdventurePROTETTA DA COPYRIGHT PERCH? DEPOSITATA REGOLARMENTE! [IN REVISIONE] A causa dell'inquinamento globale, la terra comincia a ribellarsi alla presenza della specie umana. Dopo Tsunami, tornadi, terremoti, esplosioni nucleari, carestie, epidemie e guer...